XXVI. Paradies

1.4K 49 261
                                    


N E B E L

XXVI.

Paradies



Credeva di star sognando.

Il luogo in cui si trovava somigliava ai sogni. Non a quelli belli o a quelli brutti; bensì a quelli incerti, incomprensibili, che suscitano centinaia di interrogativi al risveglio.

Però Richard una certezza l'aveva. Se stava dormendo, significava che accanto al suo corpo addormentato c'erano Sonne e Verena. Se il sogno si fosse trasformato in un incubo e lui avesse iniziato a lamentarsi, loro l'avrebbero svegliato per calmarlo, stringendolo forte al centro del letto. Anche quella notte riposavano vicini, e poi di solito uno di loro era sempre sveglio mentre gli altri due dormivano: una casualità che si era trasformata presto in abitudine nel corso dei giorni, come se sentissero la necessità di proteggersi a vicenda con quei turni di veglia spontanei. Che fosse Sonne o Verena, se ne sarebbero accorti che voleva essere riportato indietro, alla realtà, e l'avrebbero scosso per un braccio o per una spalla.

Era uno dei tanti motivi per cui detestava dormire. Nei sogni era alienato dal suo stesso corpo e tutto ripiegato nella propria testa, era cioè un po' meno vivo, assente alla vita, costretto a percorrere sentieri che non esistevano.

In quel caso, un lungo corridoio in penombra.

Non poteva far altro che andare avanti. Nel suo campo visivo si presentava una continuità tutta uguale che non gli lasciava scelta. Si chiese se fosse normale sentirsi smarriti su un percorso obbligato senza possibili svolte.

Era in pigiama, a piedi scalzi, come quando era sparito ad Amburgo. Ogni suo passo produceva un'eco tra le pareti. E proprio l'eco, anche del suo stesso respiro, l'aveva distratto dal fischio basso di cui ancora gli restava una vaga traccia nei timpani.

Dopo diversi metri, Richard si bloccò e si sostenne con una mano alla parete. Era calda e liscia, come se fosse fatta di metallo, e il suo palmo vi scivolò leggermente. Si rendeva conto solo adesso di quanto facesse caldo lì dentro. Si iniziava a sudare. Anche il pavimento si era fatto più caldo, lo sentiva con la pelle.

Non poteva essere un sogno. Nei sogni non si è così presenti.

Richard deglutì.

Sonne? Verena?, provò a chiamare con il pensiero, all'improvviso consapevole di tutti i propri sensi. Ma nessuno dei due rispose. Restava soltanto l'eco. Anche i suoi pensieri parevano averne una.

Era solo.

La sua certezza mutò nel giro di un attimo: era sparito mentre dormiva e adesso era sveglio, ma da un'altra parte. Non aveva avuto il coraggio né la lucidità per capirlo prima. Non voleva realizzare che non c'era nessuno pronto a proteggerlo, nessuno che avesse il potere di richiamarlo a sé.

Le ginocchia cominciarono a tremare, ma Richard si costrinse a proseguire, anche se non riusciva a vedere la fine del corridoio. Non si chiese dove stesse andando. L'importante era muoversi – Verena gliel'aveva sempre detto, se ti ricapita muoviti, va' via, scappa, questa seconda realtà è contro di noi – e restare vigile. Poteva farsi prendere dal panico dopo.

Presto, lontanissimo, si manifestò un bagliore bianco e fioco. Doveva essere l'uscita. E se non era l'uscita era sicuramente qualcosa di confortante per cui valesse la pena avvicinarsi. Fin da piccoli a tutti viene insegnato che la luce corrisponde al bene e l'oscurità al male; in ogni narrazione che conosceva il mondo veniva metaforizzato così e Richard adesso si fidava come un ragazzino di quell'assunto, disperato, no, assetato di luce.

NEBELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora