XXIV. Die Spucke

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N E B E L

XXIV.

Die Spucke



Verena non stava dormendo.

Aveva caldo e si era scostata la coperta dalle gambe con un mezzo calcio. Sapeva che anche Sonne era sveglio. Se n'era accorta dal suo respiro, niente affatto calmo come quando si dorme. Nel buio era l'unico suono su cui poteva concentrarsi. Le dava fastidio. Forse era quello il dettaglio che non la faceva addormentare.

Richard era in mezzo a loro nel letto, molle e fragile come non l'avevano mai visto, la statua di cera di se stesso. Sul comodino svettava la bottiglia di latte che si era scolato prima di crollare, con l'impronta delle sue labbra sull'orlo. Una sola tazza non era bastata. L'indomani avrebbe avuto un mal di pancia bestiale. Ma era meglio così, perché almeno si era calmato.

Il suo Richard, il loro Richard. Sparito e riapparso proprio come lei, risucchiato via dalla loro amata realtà. Se ci ripensava le saliva di nuovo il pianto in gola. Chiunque ma non lui, continuava a ripetersi. Ti prego. Non lui. Non ha fatto nulla di male, è la persona più buona che io conosca.

Era un tentativo maldestro di parlare di nuovo con Dio. Nelle situazioni più disperate ci provava ancora. Chiudeva gli occhi e si concentrava, si concentrava fino a farsi venire il mal di testa, ma non accadeva nulla. Gli unici con cui poteva comunicare telepaticamente erano Sonne e Richard, quando venivano separati. La sensazione era pressoché la stessa. Un conforto a cui aggrapparsi. Che fosse riuscita a parlare con Dio, in passato, perché il luogo in cui stava era un'altra dimensione rispetto alla sua? Che Dio non le rispondesse più perché si era spostato in un altro piano di realtà? Aveva scoperto con Sonne, poco prima, che non si poteva comunicare quando ci si trovava dalla stessa parte.

Questo poteva significare che Dio non le rispondeva più perché era vicino.

Quella luce bianca che talvolta li inondava...

Verena scosse la testa tra sé.

Era arrabbiata con Lui. Anzi, era furiosa. Doveva essere stato Dio a scatenare quella sciagura su di loro, doveva far tutto parte del suo grande piano imperscrutabile, anche il suo silenzio. Darle la felicità e poi togliergliela con uno schiocco di dita. Cominciava a odiarlo, per quello che aveva fatto a lei e alle ragazze nella foresta. Lui le odiava allo stesso modo, di un odio viscerale! Lui. Per questo le puniva.

Avrebbe imparato a smettere di cercarlo, così come stava imparando a non mangiare più carne. Non aveva bisogno di nessuna delle due cose. Aveva bisogno soltanto di imporsi su quella crudeltà, per quel che poteva, rifiutarla con tutto il proprio corpo, dallo stomaco alla mente.

Presto si stancò di fingere di dormire.

«Sonne?» chiamò laconicamente a bassa voce, guardando oltre il corpo di Richard.

«Sei sveglia» disse lui, una constatazione di qualcosa che già sapeva.

«Non riesco a dormire.»

Lo vide alzarsi a sedere sul bordo del letto nella penombra. La sua sagoma era più buia del resto. «Neanch'io. Non riesco a fare a meno di pensare a quello che ci ha raccontato.»

Sonne si riferiva alle ultime parole che Richard aveva balbettato prima di sprofondare nel sonno, un breve resoconto di come si era conclusa la sua avventura ad Amburgo. Un'esplosione seguita da alcuni spari, il panico della folla. Il loro Richard schiacciato e trascinato giù per le scale della metro. Sarebbe mancato il respiro anche a lei, se si fosse trovata al suo posto.

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