XLII. Messer

556 28 95
                                    


N E B E L

XLII.

Messer



Non immaginava così il sogno peggiore della sua vita.

Una di quelle notti, Verena si ritrovò in un lungo corridoio in penombra che emanava un calore anomalo dalle pareti. Lo percorse a passo svelto, guardandosi con ansia alle spalle.

Era convinta di essere finita di nuovo dall'altra parte. Richard e Sonne non le rispondevano col pensiero perché stavano dormendo. La videocamera doveva aver smesso di funzionare all'improvviso. Richard le aveva parlato di un posto simile, tempo addietro, un corridoio in cui era apparso proprio mentre credeva di essere al sicuro in camera da letto, ma malauguratamente erano crollati tutti e tre dal sonno, quando ancora non sapevano di poter contenere le sparizioni con lo sguardo.

Era finita anche lei lì, e di chi erano quei passi che rimbombavano cupi se non dell'altro Sonne?

Deglutì.

Non l'aveva mai più inseguita da allora. Cos'altro voleva da lei, adesso? Credeva di aver fatto tutto il possibile per essere ignorata, di essersi annullata abbastanza e, così, aver assunto la forma che lui desiderava.

Le lacrime le appannarono la vista. Cominciò a piangere senza neanche provare a trattenersi. La sua corsa verso la salvezza si fece fiacca e pesante. Richard aveva detto che in fondo al corridoio c'erano delle ante d'armadio come porta... Si sarebbe bruciata i palmi come lui pur di uscire e non doverlo mai più guardare in faccia... e sarebbe stato come consegnargli un altro pezzo di pelle nella collezione di tutto ciò che gli avevano consegnato...

Ma la fine del corridoio, quel canale buio che avrebbe dovuto condurre da qualche parte, era un vicolo cieco.

Verena sbatté i palmi sul muro di cemento che si ritrovò davanti, lo tastò incredula.

Non c'era una via di fuga, per lei.

No... no... ti prego, no... ti prego, Sonne, ti scongiuro, fammi uscire dalla tua testa...

Si voltò in preda al terrore, appoggiandosi con le spalle alla parete.

E lo vide.

L'aveva già raggiunta. Avanzava dritto e inflessibile nel suo cappotto nero, nella sua bellezza spregevole. Dietro di lui, un disco di luce polverosa che si allargava. Era spaventoso come riuscisse a rendere tutto piccolo, intorno, con la sua sola presenza. Faceva sembrare il corridoio la parte più stretta di un imbuto, da quella prospettiva, anche se ogni cosa in quel mondo era stata modellata per lui e a sua misura. Lei per prima.

Implorò incollandosi ancora di più alla parete, frammenti di parole che dimenticò nel momento stesso in cui li ebbe pronunciati. Presto la voce le morì in gola e riuscì soltanto a supplicarlo facendo di no con la testa.

Nel compiere l'ultimo passo, il volto di Sonne fu attraversato da un lampo tagliente, come un raggio di sole riflesso su una ghigliottina: il segnale con cui tutto assunse un'aura di inevitabilità.

La prese per la nuca e le posò un bacio duro sulla fronte, appena sotto l'attaccatura dei capelli.

Mentre le premeva le labbra sulla pelle come per marchiarla a fuoco, Verena sgranò gli occhi e si rese conto, per qualche motivo, che quella era la cosa peggiore che potesse farle.

Un dono.

Boccheggiò, e quando lui si ritrasse si lasciò scivolare con la schiena contro il muro, accanto alla sua enorme ombra.

NEBELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora