XXIII. Aus der Brust gerissen

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N E B E L

XXIII.

Aus der Brust gerissen



Un bagno pubblico, da qualche parte.

Il tempo di infilarsi la maglietta del pigiama, il tempo cioè di nascondere la testa nella stoffa, due secondi al massimo, e si era ritrovato lì. Dalla sua stanza a uno squallido locale come tanti altri in cui aveva messo piede. C'era della musica al di là della porta scrostata. Roba che Richard non sentiva da un pezzo, da quando era un adolescente con i primi accenni di peluria. Gli fischiavano le orecchie, per cui se le strofinò entrambe energicamente con i palmi.

Si guardò intorno. Due cabine spalancavano le porte su di lui, come un invito a divorarlo; su una terza invece la porta oscillava, segno che qualcuno era appena uscito. Sul pavimento, nel punto in cui si affossava, strisciavano dei rigagnoli d'acqua. Non veniva lavato da un po', e il puzzo di piscio avvalorava quel pensiero. Su una parete certe mattonelle erano spaccate, alcuni pezzi erano precipitati a terra insieme a un mucchio di intonaco, proprio accanto agli orinatoi, e i muri erano rigonfi di umidità, specie intorno alle tubature. Non c'erano specchi né finestre, solo una minuscola apertura rettangolare in alto protetta da una grata, da cui s'intravedeva una strada piena di gente.

La luce dell'unica lampadina appesa al soffitto tremolò per qualche istante.

Richard sapeva di dover tentare, per avere una conferma.

Sonne?, chiamò nella sua mente, paralizzato al centro del bagno.

Sonne rispose solo dopo un attimo. Richard..., disse, in una sorta di invocazione. Dove... dove sei finito?

Richard si aggrappò con le mani a uno dei lavandini, strizzando forte gli occhi. Bella domanda.

Non... pensavo che potesse succedere anche a te.

Nemmeno io... nemmeno io. Cercò di concentrarsi sulla sua voce per non farsi assalire dalla paura. Sono in un bagno pubblico. Adesso provo a uscire, così vedo cosa c'è fuori.

Fa' attenzione. Io intanto sveglio Verena.

Non un groppo alla gola – non te ne andare, però. Era una richiesta un po' stupida da parte sua. Avrebbe potuto raggiungerlo col pensiero ovunque si trovasse. Non soltanto Verena. Anche lui.

No. Sono qui.

Ma le sue parole furono ugualmente di enorme conforto, e gli provocarono anche un brivido, per la sensazione di averle ascoltate con la testa e non con le orecchie. Era come sentir vibrare della musica dentro di sé, come se gli avessero collegato delle cuffie direttamente al cervello.

La sua attenzione fu catturata da qualcosa che si muoveva in alto sulla parete.

Richard alzò la testa e vide una serie di piccoli ragni neri che zampettavano in direzione di chissà cosa, fuoriusciti da una tana nascosta. Forse dalla stessa che abbandonavano per infestare la sua stanza.

Con il cuore che accelerava, spalancò la porta del bagno e uscì. Era in un seminterrato. Salì le scale che lo portavano verso la musica.

Il locale era proprio come l'aveva immaginato. Una birreria in stile britannico, stretta e buia, con le decorazioni in legno scuro e delle insegne di marchi di birra provenienti da tutta l'Europa – tutta l'Europa dell'Ovest, perlomeno. Ad Amburgo ce n'erano a decine di posti del genere. In quel momento, dalle casse partì una canzone che conosceva bene, Vicious di Lou Reed. Un gruppo di ragazzi punk radunati intorno a un tavolino alto, più che brilli, si misero a cantarla con un forte accento tedesco. Richard si fissò su di loro e gli venne da canticchiare le loro stesse parole.

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