IV. Kerzen

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N E B E L

IV.

Kerzen



La camera di Verena fu pronta sul finire del terzo giorno di libertà, l'ultimo prima del ritorno di Sonne.

Lei, a lavoro ultimato, rimase per un po' sotto l'arco della porta a osservarla, con uno sguardo soddisfatto e un calore benigno a percorrerle le ossa.

Era davvero bella, per quanto semplice. Era davvero sua, adesso. Un piccolo sistema solare nella galassia di quella casa, il cui proprietario sembrava voler dividere le stanze di anni luce l'una dall'altra a tutti i costi. Almeno era riuscita a ritagliarsi uno spazio tutto per sé. E l'avrebbe riempito delle proprie leggi, della propria materia oscura. Fino al soffitto, metro per metro.

Le pareti erano diventate lisce e pulite: due verniciate di bianco e due ricoperte da una carta da parati molto simile alla precedente, verde chiaro con disegni di foglie e fiori color crema. Il letto era stato accostato sotto la finestra, con una nuova trapunta rosata che sfiorava il pavimento. Ai piedi vi erano il tappeto di lana che aveva già trovato al suo arrivo e due piccoli pouf che aveva acquistato al negozio d'arredamento per interni nella via accanto. Di fronte al letto, una cassettiera verticale e una scrivania in ottime condizioni prese al mercatino dell'usato, che Richard aveva aiutato a montare. Erano ancora spoglie, per ora, se non si contavano due piantine grasse e una serie di candele profumate che Verena aveva momentaneamente sistemato lì, per decorarne la superficie. Era quel tipo di oggetti che preferiva in assoluto, per questo si era stupita quando aveva notato che in casa di Sonne non c'erano né piante né candele.

Un giorno le sarebbe piaciuto chiedergli: cosa è successo di così triste nella tua vita per diventare così? Era abbastanza sfacciata per una domanda del genere, ma era anche sicura che lui non le avrebbe dato una risposta.

Verena camminò in giro per la stanza, guardandosi intorno. Mancavano mensole e quadri, a cui avrebbe provveduto in un altro momento. Le serviva del tempo per scegliere le decorazioni più adatte. Non vedeva l'ora di girare per i negozi di Brema in cerca di qualcosa che la colpisse – ed era quello l'unico parametro, oltre al denaro, essere colpita. Finora era riuscita a non spendere molto, però doveva rallentare. Se ne rendeva conto. I soldi della sua famiglia non sarebbero durati per sempre.

Richard entrò poco dopo in stanza. Era il tramonto e dalla finestra s'insidiava una luce soffusa. Lui si era fatto una doccia, e Verena sentì che la sua pelle profumava di bagnoschiuma quando si avvicinò, tamponando i capelli bagnati con un asciugamano. Indossava dei pantaloni di pelle e una larga camicia di tessuto traslucido, a fantasia, infilata solo da un lato nella cintura. Girava ancora in ciabatte, ma lei sapeva che avrebbe completato il look con il suo adorato paio di anfibi.

... per andare dove? Mi lasci qui da sola?

«Devo dire che sono un po' invidioso.»

«La prossima volta possiamo rimodernare anche la tua stanza.»

Lui ridacchiò. «Lo faresti gratis?»

«Certo. Tu per me l'hai fatto.»

Richard incrociò le braccia, come per sfidarla. «No che non l'ho fatto gratis. Te l'ho detto che cosa volevo in cambio.»

Verena fece finta di rimuginarci. Giocare con lui era estremamente divertente. Le dava una strana adrenalina, che si sprigionava tutt'intorno. Si domandava quanto avrebbero resistito ancora prima di finire l'uno nelle braccia dell'altra. Ormai credeva che fosse inevitabile... naturale, quasi. E precoce, certo, ma non per questo sbagliato. Non poteva esserci nulla di male nel desiderare così genuinamente qualcuno, nel voler conoscere anche con il corpo. I sensi non erano altro che un secondo intelletto. «Mmh... posso ritrattare? Stavo pensando di offrirti una cena. Sarebbe più equo, no?»

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