XVI. Von Licht geheilt

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N E B E L

XVI.

Von Licht geheilt



Sonne infilò una mano nel vecchio borsone di cuoio e solo per trovarvi sul fondo delle monete che erano state dimenticate: Pfennig dell'Est arrugginiti, rimasti lì sepolti per più di sedici anni. Due da dieci, uno da venti e uno da cinquanta, tutti con il martello e il compasso incisi sul retro.

Aveva usato quel borsone altre volte, specialmente durante gli spostamenti tra Brema e Amburgo, ma non si era mai accorto delle monete abbandonate. Dovevano essergli cadute durante il suo trasferimento nella Germania dell'Ovest.

Ricordava ancora oggi di aver tirato fuori il portamonete, sul treno della Deutsche Reichsbahn, per comprarsi da mangiare, mentre il funzionario che lo scortava non gli toglieva gli occhi di dosso. L'aveva messo così in soggezione che alla fine Sonne aveva desistito e non aveva preso nulla, preferendo sopportare il brontolio allo stomaco fino a Brema pur di non dire o fare qualcosa di sbagliato davanti a quell'uomo di cui non sapeva nemmeno il nome e che gli faceva sudare le mani. Erano seduti su un lungo sedile rivestito di velluto marrone, marrone quanto il completo, il cappello e gli occhiali di corno dell'accompagnatore. Almeno gli aveva lasciato il posto accanto al finestrino, dove Sonne aveva tenuto la testa appoggiata per tutto il viaggio.

Erano stati mesi infernali, quelli dopo la morte di Petra, Sonne non avrebbe mai potuto dimenticarlo. Non aveva ancora compiuto quattordici anni. Era l'estate del '76.

Non gli avevano mai detto se sua madre si fosse suicidata o se avesse avuto un malore. Si era convinto che fosse stato un infarto, con il tempo, solo perché anche suo nonno Walter era morto per problemi cardiaci, perciò doveva trattarsi di una qualche corrispondenza genetica che forse Sonne avrebbe ereditato, visto che era stato già fortunato a evitare certi geni difettosi del padre.

Al funerale, al cimitero, avevano presenziato una cinquantina di persone, tutta gente del quartiere di Klotzsche e dintorni che ammirava la compagna Petra per aver ricevuto il suo aiuto in passato, e sarebbe stata una folla ancora più numerosa se negli ultimi anni della sua vita non si fosse chiusa sempre più in se stessa. Da quando Gregor era stato mandato in clinica, precisamente. Da allora non era più stata lei ed era appassita fino a morire, anche se aveva cominciato a credere in Dio, e a pregare. Ma nessun altro oltre a Sonne lo sapeva, perché agli occhi del vicinato Petra era sempre la socialista modello, atea, fedelissima al partito. Invece era cambiata. E faceva paura. Faceva paura la rapidità del cambiamento, l'assenza di motivazioni dietro il cambiamento, il risultato dopo il cambiamento.

Sonne non l'aveva detto a nessuno, né quanto fosse spaventato da sua madre né che lei avesse cercato conforto in Dio, così non le fu dedicata alcuna celebrazione religiosa. Le aveva negato anche quello. Però tuttora si giustificava dicendosi che era troppo piccolo per avere voce in capitolo, troppo turbato da quel lutto improvviso, o che la questione avrebbe potuto insospettire i compagni socialisti e che non era chiaro a quale confessione Petra si stesse rifacendo.

Al funerale Gregor non era presente. Se sua madre l'avesse saputo si sarebbe strappata i capelli dal dolore. L'avevano tenuto lontano da lei anche nel momento del congedo definitivo. Non l'avevano fatto uscire, o meglio, nessuno aveva insistito affinché uscisse. Sonne, in realtà, di quello era stato contento. Vederlo e vederlo reagire alla morte di Petra sarebbe stato troppo – ancor peggio pensare che forse non avrebbe nemmeno capito cosa stava succedendo.

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