XLVIII. Mutter

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N E B E L

XLVIII.

Mutter



Lo stavano aspettando.

Erano tutti lì per lui. Aveva lanciato un'occhiata rapida al piano interrato della libreria, dalla cima della grande scala a chiocciola, e li aveva visti, seduti tra le file di sedie pieghevoli, alcuni persino in piedi, tra cui un fotografo, tutti rivolti verso la scrivania dove a breve si sarebbe accomodato.

Si era chiuso in bagno. Aveva dovuto accedervi con una moneta da un marco. Adesso si reggeva al lavandino, le braccia rigide come se si fossero cementificate, le ginocchia vacillanti.

Lo prendo, si stava ripetendo. Non ho scelta.

Si era anche già arrotolato la manica della camicia fin sopra il gomito. Nella piega, i buchi delle iniezioni non erano più così evidenti. La sua cicatrice frastagliata era tornata liscia e rosea.

Guardò la borsa a tracolla che aveva con sé, afflosciata a terra.

Adesso lo prendo.

Ne aveva portato una dose di emergenza apposta, insieme al resto del kit: siringa, laccio emostatico, cerotto. Sapeva che ne avrebbe avuto bisogno. Era sopravvissuto per settimane senza metadone, diminuendo di volta in volta la dose finché non se n'era privato del tutto e resistendo ai sintomi dell'astinenza finché non erano spariti, ma ora non sopportava l'idea di vivere uno dei momenti più importanti della sua vita in preda alla paura. Ci aveva provato. Aveva messo piede in libreria con le migliori intenzioni, anche se avvertiva malesseri corporei da due giorni, da quando era arrivato a Dresda, ma poi aveva visto quanta gente fosse venuta alla presentazione. Non ce l'avrebbe fatta senza un po' di anestesia. Questo avrebbe vanificato tutti gli sforzi compiuti sino a quel momento, ma d'altro canto una sola dose non gli avrebbe certo fatto tornare la dipendenza.

Lo prendo.

Se lo ripeteva già da qualche minuto, eppure non si era ancora mosso. Forse stava solo cercando di rassicurarsi. Di sfidarsi. Fissava il borsone, a cui sarebbe bastato aprire la zip per rivelare la fonte di ogni suo sollievo, sotto la camicia di ricambio e il taccuino con gli appunti che aveva portato.

C'era in lui una sensazione che non gli era appartenuta nemmeno nei momenti più drammatici della sua vita, il terrore profondo di qualcosa che non riusciva a identificare con precisione, e che per questo appariva anche stupido, in una certa misura. Se avesse ceduto al metadone, avrebbe affossato con le proprie mani le emozioni più genuine mai venute a galla negli ultimi mesi.

Una parte di lui lo stava supplicando di custodirle. Aveva tutto il diritto di assaporare la felicità che avrebbe provato se la presentazione fosse andata bene. Nella sua vita non potevano capitare soltanto eventi nefasti, dopotutto.

Inspirò forte dal naso, si abbassò la manica della camicia, raccolse la borsa a tracolla e uscì dal bagno.

Era stupito della sua stessa determinazione.

Già al piano di sopra qualcuno parve riconoscerlo. Avevano piazzato una sua fotografia sul volantino della presentazione. Leben di Sonne Rothberger, prima tappa, Dresda, 9 febbraio ore 18. Scese le scale senza guardare nessuno, in fretta. Camminò in mezzo ai due blocchi di sedie con lo sguardo puntato a terra e le labbra strette, forse un'espressione inclemente. I suoi passi risuonarono tutt'intorno.

Fu accolto da un verso unanime che si sollevò dalla massa di presenti, riscossi nella loro attesa, eccolo, è arrivato, e da un breve applauso. Il fotografo gli dedicò il primo scatto mentre stava ancora attraversando la sala – avvertì il click e il flash sulla nuca, come se gli avessero scagliato un bicchiere di acqua ghiacciata alle spalle.

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