XXXVIII. Wiedervereinigung

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N E B E L

XXXVIII.

Wiedervereinigung



La prima notte di quella nuova convivenza, di quella nuova era, tutti e tre esitarono sulla soglia della camera da letto.

Verena osservò la stanza che era stata sua con lo stesso spirito di chi entra in chiesa per un funerale. Sonne aveva spostato il letto verso la parete di fronte alla porta – «perché così posso tenervi d'occhio anche dal salotto» – e aveva tolto le tende alle finestre. Mentre loro erano andati a prendere le valigie alla Gasthaus, aveva spolverato e cambiato le lenzuola, che comunque non emanavano un buon odore, come se la lavatrice le avesse bruciacchiate.

No, quella stanza non era mai stata davvero sua. A differenza di Sonne e Richard, che avevano uno spazio privato, l'aveva sempre condivisa con loro, e infine Sonne ne aveva fatto ciò che voleva, ristabilendo così il suo dominio. Era stata un'ingenua a credere, due anni prima, di poter avanzare un qualche diritto anche solo su un misero angolino dell'appartamento, o di poterlo trasformare in meglio con il proprio tocco. Una cosa in putrefazione non torna allo stato precedente.

Si accorse di sfuggita del proprio riflesso nello specchio. Per la prima volta, in contrapposizione a un luogo che era stato familiare e che era rimasto immobile nel tempo, si vide diversa. Non sapeva dire neanche in che misura: sapeva soltanto che in fondo il cambiamento era parte intrinseca della vita e che lei non apparteneva più a quella casa, sebbene l'avesse amata a lungo.

«La nostra roba la sistemiamo domani, allora» disse Richard per spezzare il silenzio.

Si respirava un'aria di imbarazzo, che si concentrava soprattutto attorno a Sonne. Muoveva passi indecisi nel suo corpo pesante, un secondo avanzava e poi ci ripensava su, impreparato a gestire quella situazione che forse sognava da mesi, e che si rivelava già più ardua del previsto. «Sì... meglio se vi riposate un po'.»

Verena apprezzava che non avesse cercato il contatto fisico con lei, finora. Si stava tenendo a distanza da entrambi, come per dimostrare di non volerli forzare a fare alcunché. Da un lato, era contenta che non fosse tornato tutto come un tempo, che la loro sintonia si fosse dissipata. Avrebbe reso le cose più semplici per lei.

Le venne spontanea un'obiezione. «Non dormiamo di nuovo tutti e tre nello stesso letto, spero.»

Sonne sembrò rimanerci male, per quell'incessante riluttanza o perché l'aveva scambiata per un'allusione alla sua stazza, ma le rispose ugualmente: «No, se non vuoi.»

«Bene.»

Si misero d'accordo per i turni di quella notte. Verena sarebbe stata la prima a dormire.

Andò a stendersi subito sulla striscia di materasso più remota e diede a entrambi le spalle, Richard accanto a sé e Sonne seduto sul bordo del letto. In realtà rimase sveglia. Era tormentata dal pensiero che dicessero qualcosa contro di lei mentre non poteva sentirli. Ma nessuno dei due parlò. Avvertì solo i loro occhi scivolarle addosso per il resto dei minuti che le erano concessi, lungo la spina dorsale.

Il giorno successivo non fu meno teso. Disfecero le valigie nella quiete del pomeriggio, e a Verena parve di possedere molte meno cose di quante ne ricordasse. Da una tasca interna, intanto che Richard ripiegava delle magliette a tema heavy metal, estrasse i giochi erotici che avevano comprato l'estate precedente, delle spesse corde nere e il dildo di vetro. Li guardò tra le proprie mani come se non riuscisse più a capire a che vita appartenessero, come guardava lo scaffale degli assorbenti al supermercato.

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