XXXVII. Dein Wille geschehe

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N E B E L

XXXVII.

Dein Wille geschehe



«Mi dispiace.»

Il primo ad aprir bocca fu Richard, dopo mezz'ora che avevano trascorso a camminare in silenzio nelle strade deserte, sollecitati alle spalle dal vento di fine settembre. Lui non aveva neanche il cappotto e avanzava tutto teso, le membra smagrite accanto alle sue, due scheletri che avanzavano nella notte.

Verena rilasciò una densa nuvoletta di fumo dalla seconda sigaretta che si era accesa. «Cosa me ne faccio del tuo dispiacere?» disse, apatica.

«Quello che vuoi. Lo so che ti ho deluso.»

No, non era delusione. Non poteva essere delusa da qualcosa che aveva previsto. Aveva provato a evitarlo sino a questo momento, e stavolta non era riuscita a giocare d'anticipo, perché si era allontanata da lui. In parte era colpa sua. Era lei ad averlo messo in pericolo, lei ad averlo consegnato alle briglie di Sonne.

Il fatto che si fossero parlati era già segno di un declino imminente. Verena se ne sentiva gonfiare il petto come se dentro di sé stesse soffiando il respiro di qualcun altro: la fine arrivava così.

«Ma non ne sei pentito.»

«No.» Richard, in quell'istante, calciò una lattina di birra vuota ai suoi piedi. «In tutta onestà, lo rifarei. Avevo un bisogno di rivederlo che neanche immagini.»

«Neanche immagino? Lo dici a me?»

«Se sai cosa si prova, perché non hai mai provato a capirmi?» Si fermarono sotto a un ponte nei pressi della stazione. «Senti... hai detto che mi ami ancora. È la verità? O stavi solo provando a manipolarmi?»

Verena si appoggiò con la schiena al muro di cemento e scrollò la cenere dalla sigaretta, prima di fare un altro tiro. La quiete intorno a loro era abissale. Aveva la capacità di amplificare e rendere più grave ciò che si stavano dicendo.

«Che importa? Tanto sceglierai lui comunque.»

«A me importa. E poi non si è mai trattato di scegliere, Reni...»

«Adesso sì. Si tratta esattamente di prendere una posizione.»

Richard fece per accarezzarle una guancia, ma lei lo schivò e riprese a camminare.

Lo sentì sospirare forte dal naso. «Perché devi rendere tutto così difficile?»

Si girò di nuovo verso di lui, di scatto. «Perché non voglio più avere niente a che fare con Sonne! Ancora non è chiaro? Non voglio tornare strisciando da lui come stai facendo tu, da vero vigliacco!» Scosse la testa con sdegno. «Dovevamo cominciare a vivere davvero la nostra vita, a emanciparci, perché non possiamo sottostare a un legame in cui un'altra persona ha un potere spropositato su di noi... e per liberarcene c'era bisogno di tagliare del tutto i ponti con lui. Invece hai fallito su tutta la linea, hai fatto fallire entrambi, solo perché non riesci a sopportare la sua assenza! Povero Richard, gli manca il fidanzatino! Ma dov'è la tua dignità? Non ce l'hai, un po' di orgoglio?»

Richard prima si immobilizzò e la guardò con occhi sgranati, come se non riuscisse a concepire che lei lo stesse davvero insultando così, poi si fece scuro in volto e le disse freddamente: «Emanciparci? Credi che siamo emancipati, adesso? Non abbiamo anche ora un padrone che può fare di noi ciò che vuole?» Dopodiché la superò con una spallata e affrettò il passo.

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