XXXI. Augenblick

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N E B E L

XXXI.

Augenblick



A Richard sembrava di star nuotando anche nella realtà. Si muoveva a fatica, con le membra pesanti e fiacche, come se fosse stato troppo tempo a galla e perciò stesse per annegare dallo sfinimento.

Era tutto acqua che lo faceva scivolare. Era tutto reale. Anche l'altra dimensione. Gli aveva appena restituito uno stralcio del suo passato, una riproduzione identica ai suoi ricordi, fino all'attimo in cui tutto si era spento. Doveva credere per forza che fosse reale: non c'era qualcuno che lo conoscesse così bene e potesse creargli quell'illusione davanti agli occhi così come la custodiva dentro di sé.

Anche Verena l'aveva detto.

«È reale. Qualunque cosa sia successa di là, è successa davvero.»

Le era fiorita un'ecchimosi rossastra sulla guancia, che tentava di nascondere un po' con i capelli.

Stavano seduti al tavolo in cucina, tutti e tre, un po' distanti l'uno dall'altro, per fare un resoconto degli ultimi avvenimenti. Era l'alba. Era passata solo qualche ora dal loro ritorno.

Richard e Verena avevano indossato abiti puliti e un paio di maglioni a testa, lei persino una coperta di ciniglia sulle spalle, ma nonostante ciò continuavano a rabbrividire e battere i denti. Niente riusciva a riscaldarli, anche se erano abituati alla nudità tanto quanto alla temperatura dell'appartamento. Gli venne in mente che i teli per la doccia erano rimasti dall'altra parte. Non potevano trasportare materia estranea, a quanto pareva, ma potevano perdere per sempre quella del loro mondo se la abbandonavano lì.

Sonne, a differenza loro, non aveva freddo. Aveva intrecciato le mani davanti a sé, nella sua classica posa riflessiva, e li guardava senza fiatare. A dire il vero, li guardava in modo strano, inebetito, come se avesse di fronte delle creature aliene e fosse incapace di reagire alla loro esistenza. Aveva ancora gli occhi lucidi, leggermente sgranati nel vuoto.

Doveva averlo terrorizzato l'idea di perdere entrambi nello stesso momento. Richard non l'aveva mai visto in quello stato, né l'aveva mai visto piangere.

Non rispose neanche alla loro domanda. Non stava ascoltando.

Richard si sporse con il busto sul tavolo e gli sventolò una mano vicino alla faccia. «Sonne? Stiamo parlando con te.»

Lui si ridestò, ma si ritrasse sulla sedia in segno di difesa. «Sì. Scusate.»

«Dicevamo: cos'è successo ad Amburgo?»

«Cosa?»

«Ad Amburgo, Sonne, Amburgo! Perché ti sei comportato così con noi in questi giorni?»

Richard tornò dritto e incrociò le braccia, richiudendosi su se stesso. Quel minimo spostamento gli aveva risucchiato ancora di più le energie. Mettersi in piedi avrebbe richiesto uno sforzo disumano. Aveva il sentore che il sangue non gli scorresse più in corpo. Ricambiò lo sguardo di Sonne, incitandolo a parlare. Stavano esigendo delle spiegazioni che lui chiaramente non voleva dare, per qualche motivo a loro ignoto. Ma questo non li faceva arrendere.

Sonne si voltò prima verso Verena e poi verso Richard. Stava cercando le parole giuste e la persona più adatta da affrontare, ma alla fine, messo alle strette, si concentrò sulle proprie mani sul tavolo ed emise un forte sospiro dal naso. «Va bene» disse. «Ad Amburgo è capitato anche a me. Sono sparito anch'io.»

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