XXXIV. Die Hand, die dich füttert

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N E B E L

XXXIV.

Die Hand, die dich füttert



L'effetto era lo stesso di quando ci si risveglia da un sogno, un sogno durato una vita intera, con un secchio d'acqua ghiacciata gettato addosso. Per un attimo la realtà gli sembrò estranea e distante, come se il mondo onirico lo stesse trattenendo a sé ancora per un po' per salvaguardarlo da ciò che si apprestava ad affrontare, o per illuderlo.

Se avesse dovuto dare una spiegazione immediata a quello che stava leggendo, Richard avrebbe detto che Sonne lo conosceva ormai così bene da avergli dedicato un racconto in cui ripercorreva il loro primo incontro e il periodo dell'università, in maniera fin troppo fedele a ciò che ricordava anche lui.

Ma era la data a turbarlo.

Amburgo, 27 aprile 1987, si leggeva in cima alla prima pagina del fascicolo che aveva afferrato dalla scrivania: il giorno del suo compleanno. Alla fine del racconto, inconcluso, una serie di appunti che lasciavano intendere che Sonne l'avesse scritto davvero in quell'anno. Non si trattava di un artificio narrativo.

La domanda che gli affiorò nella mente all'istante: come faceva Sonne a sapere tutte quelle cose su di lui, in particolare i dettagli che non gli aveva mai confidato, tantomeno nell'87?

Abbassò i fogli che stringeva tra le mani e osservò Verena, che invece stava finendo di leggere velocemente un altro racconto.

«Parla di te?» le chiese, notando lo scuro e violento stupore straripato sul suo viso. Era facile intuirlo. Era facile intuire che Sonne stesse scrivendo di loro. Quante volte gliel'avevano chiesto, per gioco. Si era liberato dal blocco creativo grazie a entrambi, del resto, era facile intuire che fossero la sua ispirazione, il suo innesco, il suo soggetto prediletto da maneggiare.

Ma c'era qualcosa di profondamente sbagliato che ancora non arrivavano a capire.

Verena scosse la testa tra sé, con gli occhi sgranati nel vuoto. «Non è possibile...»

Non era soltanto confusa. Era posseduta da una paura glaciale che pareva aver ricoperto di brina il suo corpo.

Richard diede un'occhiata alle sue pagine. La data era diversa, persino antecedente.

«Anche lì ci sono cose intime del tuo passato che Sonne non dovrebbe sapere?»

«È... è un racconto sulla mia famiglia, sulla mia fuga... scritto come se lui fosse Dio» rispose lei, stringendo i fogli al petto, quasi non volesse che Richard li leggesse. «Come... come ha fatto a sapere...»

... tutto?

La domanda finì nel nulla, in parole che non riusciva ad articolare, perché le erano rimaste arpionate in gola. Richard si accorse che sul dorso dell'ultima pagina c'erano delle annotazioni. A differenza del suo racconto, però, erano state cancellate a penna, con mano pesante, di recente. Poi cominciavano dei brevi paragrafi scritti in una grafia inquieta e a stento decifrabile. Ciascuno riportava un'ulteriore data. Novembre 1993, dicembre 1993, gennaio 1994.

«Guarda» le disse.

Verena voltò la serie di fogli e lesse insieme a lui, le teste vicine. La prima postilla si apriva con: "le è comparsa una grossa voglia color caffelatte sul fianco", seguita da poche altre righe. La seconda, invece: "questa sera ricomincerà a mangiare carne sotto i miei occhi e quelli di Richard – zampetto di porco con crauti, da lei preparato – e sarà finalmente sazia..." La terza, successiva al giorno dello sparo: "è guarita nottetempo, miracolosamente. Adesso la ferita è solo un brutto ricordo. Sᴏʟᴏ ᴜɴ ʙʀᴜᴛᴛᴏ ʀɪᴄᴏʀᴅᴏ. È la mia volontà, se la mia volontà vale ancora qualcosa."

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