XXI. Der Wald

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N E B E L

XXI.

Der Wald



Benzodiazepine nello stomaco. Lorazepam. Gliel'aveva dato Sonne, quando lei gli aveva chiesto se per caso avesse qualche tranquillante in casa. Era stato restio, all'inizio. Diceva che avrebbe dovuto prescriverglielo un medico. Avevano discusso.

«Come faccio a spiegare al medico la situazione in cui mi ritrovo?» gli aveva urlato Verena a un certo punto, al che Sonne si era arreso. Da quando era cominciata quella storia delle sparizioni era diventato molto più arrendevole nei suoi confronti, e lei stava apprendendo un po' alla volta i punti in cui colpire per ottenere da lui ciò che voleva.

In realtà Verena non poteva vedere un medico perché non aveva un'assicurazione sanitaria, ma questo Sonne non lo sapeva. C'erano tante cose che non sapeva di lei. Aveva una completa sconosciuta in casa da oltre un anno. Una sconosciuta che aveva iniziato a sparire. C'erano momenti in cui le veniva la tachicardia solo a pensarci, come quando si domandava in che luogo sarebbe finita la prossima volta. Le venivano spesso delle crisi di pianto, dal nulla, o si sentiva mancare il respiro nei momenti più impensabili, quando credeva di essere rilassata. Aveva bisogno di quelle compresse.

Le prendeva da qualche giorno.

Sonne aveva detto di averle usate tempo addietro per l'insonnia, ma le aveva sospese dopo aver consumato solo uno dei due blister, perché sebbene lo facessero dormire gli davano anche una sensazione di intorpidimento e di vertigine, da sveglio, che lui detestava, così come detestava l'idea di non essere vigile e in pieno controllo di sé.

Verena invece bramava quello stordimento, da un po'.

Perciò stavolta ne aveva prese due invece di una. Erano scivolate giù in gola con una facilità sorprendente.

Adesso attendeva, a mollo nella vasca, che facessero effetto. Era una serata tranquilla. Si era stesa in modo che l'acqua le coprisse le spalle e le arrivasse al mento, come se fosse una calda coperta. Da quella prospettiva, la nuca premuta contro l'estremità ricurva della vasca e i capelli bagnati che le fluttuavano intorno al collo, poteva guardare il suo corpo inerte, intirizzito, immerso ma non nascosto, dal seno alle dita dei piedi. Era come osservare un paesaggio incontaminato. S'immaginò tanti omini minuscoli che le si arrampicavano addosso con piccozze e ramponi per conquistarlo e piantare bandiere tutte colorate. C'era chi diceva questo è mio, questa parte è mia, no mia, l'avambraccio, la pancia, il pube, le cosce, e sarebbero scoppiate guerre per decretare a chi dovesse andare cosa, come dovessero essere disegnati i confini sulle mappe, chi avrebbe governato i singoli pezzi di lei. I padroni delle gambe l'avrebbero subito tosata, altri avrebbero detto che questa o quella parte andava coperta, o scoperta, altri l'avrebbero seminata e avrebbero rubato i frutti del suo grembo per farne forza lavoro.

Poi lei si sarebbe alzata e avrebbe fatto cadere tutti in acqua.

Per il momento, però, voleva restare stesa lì. Si sentiva pesantissima, come se la forza di gravità stesse premendo sempre più su di lei per farle perforare anche il fondo della vasca. A stento riusciva a sollevare le braccia. E non era solo colpa dei tranquillanti.

Con il passare dei minuti l'acqua si raffreddò, ma continuò a darle una piacevole sensazione sulla pelle; sembrava che la sfiorasse e non che la circondasse. Verena si chiese se l'acqua potesse proteggerla. Non potevano farlo Sonne e Richard. Non poteva farlo la casa. Ma doveva esserci qualcosa in grado di trattenerla lì.

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