I. Kahlwild

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N E B E L

I.

Kahlwild



A lungo aveva evitato il contatto umano.

Quando Sonne aveva stretto la mano del nuovo inquilino, un formicolio simile a scintille gli aveva pizzicato il palmo. Si era trattenuto per non ritrarlo bruscamente, forzando un'espressione impassibile.

Richard Weigl aveva solo due valigie con sé, il giorno del trasferimento. Aveva firmato il regolare contratto d'affitto senza nemmeno leggerlo, anzi, aveva presto abbandonato la propria copia sul tavolo della cucina insieme a un pacchetto di sigarette semivuoto. Sonne aveva scoperto che la sua era una grafia frettolosa, appuntita, tranne che per le due iniziali: la R e la W si piegavano in curve morbide, mentre le lettere successive rivelavano un qualche timore sepolto.

«Weigl...» aveva mormorato Sonne con le braccia conserte, appoggiato con una spalla allo stipite della porta di quella che era appena diventata la sua stanza. «Ero convinto che fosse Wagner.»

Richard aveva alzato lo sguardo su di lui per un secondo, poi era tornato a sistemare le sue cose nella cassettiera, con i capelli biondi che gli pendevano sulle guance scavate. Ogni tanto se li portava dietro le orecchie. «No, sempre stato Weigl. Hai la memoria corta per essere uno scrittore.»

Sonne lo aveva fissato senza riuscire a capire che tipo di sentimento stesse prevalendo dentro di lui in quel momento. Il fastidio, forse, per l'invasione di casa sua, o magari il nervosismo, per il tentativo di essere cordiale e rispettare le convenzioni sociali basilari. C'era anche una dose di bonaria comprensione, perché Richard, l'eccentrico e sbandato Richard, si azzardava a fare battute e insinuazioni sugli scrittori senza sapere assolutamente nulla di quel mondo.

Ma era emersa anche la gratitudine, insieme al resto.

Sonne non aveva dimenticato ciò che Richard aveva fatto per lui cinque anni prima.

Non poteva negare a se stesso di averlo scelto, tra i tanti che si erano presentati al suo annuncio, proprio per quello. Era stata una magra consolazione: si trattava pur sempre di un estraneo in casa, il che gli procurava non poco turbamento, ma aver accolto lui piuttosto che qualcun altro gli era sembrata una buona idea, una conseguenza naturale di ciò che avevano condiviso in passato, durante il suo ultimo anno di università. Un unico evento, un unico gesto che li aveva uniti molto più di un'amicizia duratura. Perché il loro era un legame a tutti gli effetti, anche se non si conoscevano per nulla.

Sonne si domandava se Richard lo percepisse allo stesso modo: la prospettiva dell'agente poteva essere del tutto diversa rispetto a quella del ricevente dell'azione. Ma non poteva essere un caso che Richard fosse ricomparso nella sua vita.

Non gli aveva raccontato molto. Non avevano parlato molto. Sonne sapeva soltanto che, dopo aver vagabondato da una città all'altra nel nord-ovest della Germania, Richard, una volta approdato a Brema, aveva trovato per una fortuita coincidenza il suo annuncio sul Weser-Kurier: si affittano due stanze in un appartamento storico nel quartiere di Mitte (Violenstraße, 124), seicento marchi una, settecento la più grande. Si prega di rivolgersi a Sonne Rothberger al numero...

«Ti ho riconosciuto subito. Non conosco nessun altro che si faccia chiamare Sonne. Dovevi essere tu per forza» aveva detto Richard.

Si ricordava di lui, eccome. Nulla era stato cancellato.

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