XX. Zerberus

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N E B E L

XX.

Zerberus



Qualcuno mi sta seguendo.

Sonne, seduto su una panchina del lungofiume con la testa abbassata, alzò di scatto lo sguardo verso l'acqua verdastra che rifrangeva la luce mattutina e che scorreva placida, impercettibilmente, come se potesse scorgere sulla superficie le immagini di ciò che stava accadendo a Verena. Era alla ricerca di segnali che potessero essere visti.

Anche se il suo pensiero riusciva a raggiungerla, in qualche modo, ed era pur sempre un miracolo, Sonne avrebbe voluto raggiungerla di più.

Il sudore sulla nuca divenne gelido.

Ne sei sicura?, le chiese, gli occhi immobili e spalancati sul fiume, uno specchio fasullo che mai, come lui, sarebbe riuscito a catturare un singolo fotogramma della realtà alternativa da cui Verena gli stava parlando.

È un uomo... sento il suo sguardo addosso e i suoi passi. È dietro l'angolo.

Allontanati. Cerca di seminarlo.

Ci sto provando.

Se la immaginava camminare a passo veloce e nervoso per le strade di quel paesino di montagna sconosciuto, mentre ogni tanto si guardava alle proprie spalle, con una ruga d'angoscia scavata nella fronte e il fiato a farsi largo tra i denti, tra le labbra. Immaginava la paura che la stava risucchiando, perché era un tormento che si era trasferito anche in lui, un nodo strettissimo nelle viscere. Qualcosa voleva togliergli Verena e lui non poteva fare nulla per impedirlo. Qualcuno la stava inseguendo per farle del male.

Parlami, Sonne, ti prego...

Lei si stava aggrappando alla sua voce. Era l'unica cosa che la legasse ancora a quel mondo. Una catena tra loro, solida.

Sonne intanto cercava una soluzione a tutti i costi. Trova qualcosa che ti ricordi Brema o prova a tornare al punto di partenza. L'altra volta sei ricomparsa quando sei tornata indietro, a casa.

Hai ragione. Solo che qui..., si fermò, e si fermarono anche i battiti di Sonne nel petto, per un istante. Si tirò in piedi, guardandosi intorno. In quella zona della città, su Osterdeich, sulla passeggiata di ghiaia che costeggiava la riva del fiume, la gente in strada si godeva gli ultimi residui d'estate in bici o a piedi, a quell'ora. Come aveva fatto, lei, a sparire in mezzo a tutte quelle persone? Nessuno aveva visto?

Verena?

C'è un fiume.

Sonne non riusciva a tirare alcun sospiro di sollievo. Parlami anche tu, Verena. Devo sapere che stai bene.

Scusa. Mi sono distratta.

Le sue parole erano uno strappo al cuore. L'unica cosa rimasta di lei. Quanto avrebbe voluto che si materializzasse davanti ai suoi occhi, adesso, a partire da quelle stesse parole.

Il fiume ti ricorda il Weser?

Non proprio, è molto più limpido. Però è l'unica cosa che riesco a collegare a Brema.

Va bene. Continua a camminare.

Anche lui riprese a camminare, anzi a correre, senza rifletterci. Era uscito di casa per quello, come quasi tutte le mattine. Correre, smaltire, alleggerirsi. Era durante la corsa che aveva sentito la voce di Verena chiamarlo. Un fulmine a ciel sereno. Non esisteva modo di dire migliore. Un fulmine nella sua testa. Si era bloccato a metà percorso, con le mani appoggiate alle ginocchia dolenti e il respiro accelerato. Aveva dovuto sedersi su una panchina per riprendersi. Doveva essere una giornata come un'altra. Lei doveva essere a lavoro, dal fioraio. Invece era successo di nuovo e lui non poteva fare niente.

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