VII. Vergeben und geben

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N E B E L

VII.

Vergeben und geben



Un colpo di spazzola, ben assestato sul retro del capo. Un suono di capelli strappati tra le setole.

Verena si morse l'interno della guancia, con le lacrime agli occhi, ma poi ripeté di nuovo lo stesso gesto, ancora e ancora.

Era seduta sul bordo del letto mentre compiva il rito che odiava con ogni fibra del corpo. Una mano alla spazzola e l'altra in grembo, a stringere l'orlo del maglione.

Sapeva benissimo chi incolpare se aveva ancora l'istinto di autoinfliggersi quella tortura. C'erano momenti in cui sentiva il bisogno impellente di farlo, allora era costretta ad arrendersi: doveva pettinarsi. O meglio, pettinarsi come la pettinava lui.

Quand'era ragazzina aveva dei capelli meravigliosi, lunghi fino al bacino, morbidi e di una sfumatura castano-dorata. Suo padre glielo diceva sempre, che amava i suoi capelli. Verso sera, dopo cena, la faceva sedere sulle proprie ginocchia e glieli pettinava. Era abbastanza brusco, e se lei provava a lamentarsi la risposta era di consueto: «La vita è piena di sofferenza, meine Liebe. Stringi i denti.» Solo dopo che era soddisfatto le posava una carezza sulla testa e la lasciava nella stanza alle sue fantasticherie religiose. All'epoca Verena neanche pregava: si metteva il pigiama, si nascondeva sotto le coperte di lana e restava per un po' ad ascoltare i versi dei gufi e degli allocchi che comunicavano nella boscaglia, finché non arrivava la voce di Dio a farle compagnia.

Era Lui a venire da lei. Verena non l'aveva mai cercato, ma era molto grata della sua presenza. Almeno copriva i rumori che giungevano puntualmente dalle stanze dei suoi fratelli, anche nel cuore della notte. E le permetteva di parlare di tutte le cose che teneva nascoste a chiunque altro.

Suo padre, invece, di Dio aveva paura. Quando Verena gli aveva detto di sentire la sua voce era rimasto piuttosto sconvolto. Lei non sapeva dire se ci avesse creduto. Però da allora la trattava in modo diverso rispetto agli altri quattro figli. Con riverenza, e anche una punta di timore. Pazza o eletta che fosse, a lei andava il cibo più dolce, a lei i vestiti più puliti, ogni capriccio esaudito. Oltre a ciò, voleva che fosse sempre bella, in particolare quando calava il sole.

I suoi fratelli avevano notato subito questo cambiamento: è così che fu piantato il seme della discordia tra loro. Anche nella sua adorata Ingeborg, che non aveva mai manifestato platealmente il suo odio e si era presa cura di lei per tanto tempo dopo la scomparsa del padre.

Verena aveva all'incirca tredici anni quando accadde. Un mattino si svegliarono, tutti e cinque, e non lo trovarono più in casa.

Non era mai più tornato, per quanto l'avessero aspettato. Per anni non erano usciti da quelle mura. Erano troppo terrorizzati e speranzosi per mettere piede all'esterno. Tutto era presto diventato sudicio, il legno mangiato dai tarli, i tappeti dalle tarme e le pareti dalla muffa; c'erano resti di cibo sul pavimento e polvere ovunque, nonostante cercassero di arginare i danni. Günther e Ingeborg avevano preso in mano le redini della famiglia. Si occupavano dell'orto e cacciavano nei dintorni (Günther stravedeva per le armi perché gli era stato insegnato così e per questo era il solo che si azzardava ad allontanarsi un po' dal loro recinto). Erich e Christa si erano adeguati, ma più come dei pesi morti. Lei, invece, dopo qualche anno era scappata.

Era stata l'unica in grado di farlo.

Una curiosa coincidenza aveva voluto che anche la voce di Dio l'avesse abbandonata, insieme al padre.

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