XXX. Sie

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N E B E L

XXX.

Sie



È tutta qui, la verità, la fine dell'oscurità: nelle sue mani.

Su fogli di carta ingialliti e dall'odore stantio, ma sopravvissuti alla negligenza del proprietario che si era limitato ad accatastarli uno dopo l'altro nel corso del tempo. In realtà gli era sempre stata a cuore l'idea di conservare ogni suo racconto, anche quelli inconclusi, perché provava per essi un senso cocente di gelosia.

Gli appartenevano. Erano ciò che mai nessuno avrebbe potuto togliergli, un'eredità a se stesso e al futuro inconoscibile in cui non sarebbe più stato presente. Se esisteva una cosa chiamata anima, avrebbero trovato la sua aprendo quel cassetto della scrivania. Una parte di cui nemmeno andava fiero, per questo custodita al buio.

Riaprirlo era stato doloroso. Il cassetto si era persino bloccato, così Sonne aveva dovuto forzarlo con una smorfia sofferente e poi tirarlo via dalle guide di scorrimento, con il rumore che, immaginava, avrebbero fatto delle ossa dislocate.

Non li toccava da anni.

Si vergognava di aver dimenticato gran parte del loro contenuto. Rappresentavano un tesoro che per lui non aveva neanche più forma; ne era rimasto l'ideale, però, l'ottusa speranza giovanile.

Erano numerosi – non si soffermò a contarli –, alcuni nemmeno spillati, e seguivano su per giù un ordine cronologico.

Li aveva sfogliati alla rinfusa mentre Richard e Verena gli parlavano nella testa, riferendogli quello che stava accadendo dall'altro lato. Le loro parole erano state familiari come pensieri suoi, e proprio in quanto tali avevano riportato a galla qualcosa, senza durezza né fatica.

Der Tod in Hamburg. Der Alptraum der Väter.

Due titoli vergati con l'inchiostro scolorito di una macchina da scrivere, in cima a due racconti. Li aveva letti immobile, in piedi, le dita aggrappate alla carta, davanti alla scrivania su cui adesso era sparpagliato il resto dei fogli. Rimase a lungo in quella posizione anche dopo averli terminati entrambi, Sonne e se stesso, Sonne e il prodotto concreto della sua immaginazione, nel silenzio di una casa vuota da cui è stata risucchiata anche l'ultima goccia di vita.

Solo dopo diversi minuti riuscì a formulare in modo chiaro il concetto rivelatorio che si era ormai originato dentro di lui, nel profondo.

Richard e Verena erano sue creature.




Tutti gli anni della sua esistenza l'avevano preparato a questo istante, i presagi e i segni che non aveva colto o saputo interpretare.

Erano venuti da lui.

Prima l'uno, poi l'altra. Avevano percorso una strada immateriale fino a manifestarsi davanti ai suoi occhi in carne e ossa, nei corpi con cui si donavano al loro creatore. Non importava come fosse avvenuto. Avevano trovato il modo. La vita trova sempre il modo di svilupparsi e appropriarsi di uno spazio, tenace e parassitaria e spaventosa, così straordinariamente simile a loro.

Erano una parte di lui che aveva sfidato le leggi del mondo per incontrarlo – incontrare se stessa. Riconciliarsi. C'era tanto di Sonne in Richard e Verena, adesso era d'improvviso lampante, per contrasto o compensazione: non era mai stata una coincidenza, erano tutto ciò che lui non era e che bramava di possedere con ogni fibra di sé.

NEBELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora