II. Milch

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N E B E L

II.

Milch



Il primo giorno in casa di Sonne Rothberger – non sarebbe mai stata la casa di nessun altro, Verena l'aveva capito subito – trascorse scivolando tra i silenzi ingombranti del proprietario.

Richard non c'era e lei non sapeva quando sarebbe tornato. Si era basata molto sulla sua presenza quando aveva deciso di concedere una possibilità a quell'appartamento. Non era sicura di riuscire a gestire la convivenza con una persona come Sonne. Però aveva deciso di provarci comunque: per smettere di scappare. E anche per ricominciare a vivere.

Era arrivata fin lì, dopotutto. Non potevano trovarla.

Sarebbe stata al sicuro.

Quel mattino Sonne l'aveva accolta freddamente, ancora una volta, e non aveva detto niente eccetto: «Sistema pure le tue cose. Io adesso sto lavorando.» E poi era sparito subito in camera sua, richiudendo la porta dietro di sé. Verena aveva sentito il rumore secco di una chiave.

Sta' tranquillo, non voglio spiare le tue porcherie.

Aveva sistemato "le sue cose" in qualche minuto, in quella spoglia stanza che chiedeva disperatamente delle cure. Tutto ciò che aveva era nello zaino. Vestiti, principalmente, i più pratici che avesse potuto selezionare dal vecchio armadio che condivideva con sua sorella Christa. Sul fondo, i calzini in cui aveva infilato i soldi. Erano tanti soldi, per questo aveva dovuto dividerli in più paia. Non ricordava nemmeno quanti fossero. Li aveva presi e basta, per poi farne delle mazzette e arrotolarle con degli elastici. Günther l'avrebbe ammazzata per questo.

Verena doveva farseli bastare per un bel po'. Per l'affitto, soprattutto, finché non avesse avuto la necessità di trovarsi un lavoro. Quella dell'accademia d'arte era stata una bugia bella e buona. Conosceva la Hochschule für Künste e le sarebbe piaciuto da morire frequentarla, ma non poteva permettersi di essere... rintracciata. Aveva detto a Sonne e Richard dell'iscrizione solo per sembrare una persona rispettabile e innocua.

Cosa avrebbe pensato il granitico Sonne se avesse saputo che la sua famiglia la voleva morta?




Verso le diciotto, Richard tornò a casa. Fu Verena ad aprire quando bussò al campanello.

«Ehi» la salutò. «Ho dimenticato le chiavi.»

Verena fece spallucce. «Tranquillo.»

«Com'è andato il primo giorno?» chiese, mentre posava la giacca di pelle sull'attaccapanni accanto alla porta. «Sonne si è comportato bene?»

«Uhm... non l'ho visto quasi per niente. È nella sua stanza da stamattina.»

«Tutto nella norma, allora.»

Verena sorrise debolmente. «E tu? Cosa hai fatto di bello? Se posso chiedere.»

«Colloquio di lavoro. Mi hanno detto che mi faranno sapere.» Lo disse in modo piuttosto sconsolato e Verena capì che qualcosa era andato storto. Le dispiacque anche se non si conoscevano da nemmeno un giorno, perché Richard a tratti le sembrava proprio un disperato. Più di lei.

«Ahia» commentò.

«Brutto segno, eh?»

Si spostarono in cucina. Verena, che non mangiava dalla sera prima, aprì il frigo per vedere cosa contenesse: tanta desolazione. Una confezione di uova, una busta di patate, una di pomodori, un bottiglione di latte. Il suo stomaco protestò con un brontolio di disappunto. «Ma non mangiate nulla, qui?»

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