X. Schwarze Träume

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N E B E L

X.

Schwarze Träume



Non incendi, né padri, ma un tavolo rettangolare lunghissimo, dove Richard ora sedeva.

Era come se fosse sempre stato lì, ma non appena decise di guardarsi intorno si disse che in qualche modo doveva pur esserci arrivato con le proprie gambe: una sala da pranzo rustica e spartana, con tutti i mobili in legno, il pavimento impolverato e un caminetto di mattoni in fondo. Poteva sentire il crepitare del fuoco, ma non ne vedeva le fiamme. Era uno dei pochi suoni distinguibili. In lontananza, qualcuno maneggiava utensili da cucina, forse pentole di latta. Ancora più in lontananza, versi cupi di uccelli che non sapeva riconoscere. Oltre a ciò, il silenzio. Dalle finestre si scorgeva una fitta vegetazione di sempreverdi, dalle cui fronde a stento trapelava la luce del sole.

Non era in città, ma in un luogo sperduto nei boschi, una baita o un cottage... con una stanza abnormemente lunga.

Non si fece domande. Gli sembrava piuttosto naturale trovarsi lì, ad aspettare che accadesse qualcosa.

Era seduto a capotavola e accanto a lui era seduta Verena. Non avevano nulla davanti a sé, solo la ruvida superficie del tavolo. Lei doveva aver parlato, perché era girata verso di lui come in attesa di una risposta, ma Richard non aveva ascoltato.

«Cosa?»

«Ho detto: hai fame?»

Lui tamburellò le dita sul tavolo. «Non molta, a dire il vero.»

L'espressione di lei si fece subito più mesta. «Oh. Magari ti vien mangiando.»

L'ultima cosa che Richard avrebbe voluto in quel momento era proprio mangiare, per via di una lieve nausea, ma non lo disse perché aveva l'impressione che sarebbe stato inappropriato.

Quella sensazione gli fece realizzare di essere un ospite, lì dentro – dovunque fosse. Si stupì di non averlo capito prima.

Stranamente, Verena non gli rivolse più la parola, preferendo piombare in un mutismo religioso come se si stesse preparando per un rito. Ci mancava solo che si mettesse a pregare prima del pasto con il capo chino e le mani giunte, o qualcosa del genere.

Richard attese e attese.

Quando stava per perdere la pazienza, quattro persone sbucarono da una porta a cui non aveva prestato attenzione. In fila si avvicinarono al tavolo, poi si disposero in riga alle spalle di Verena, coordinatissimi e a distanza perfetta l'uno dall'altro. Erano vestiti con abiti un po' antiquati, calzoni con bretelle i due maschi e gonne lunghe fino ai piedi le due femmine. Richard non colse i particolari dei loro volti, ma vide che in linea di massima si somigliavano molto, oltre ad avere lo stesso portamento svelto e fiero. O meglio, somigliavano tutti e quattro a Verena. L'ultima ragazza della fila – o forse poteva già essere definita donna, non era chiaro che età avesse – reggeva un pentolone dall'aria pesante, da cui spuntava il manico di un lungo mestolo.

Verena le fece un cenno con la mano per farla avvicinare, allora quella avanzò e posò il pentolone di fronte a lui. Era così alto che Richard, da seduto, non riusciva a vedere cosa contenesse. L'assenza di un odore specifico, poi, non concedeva indizi.

La ragazza non disse niente. Verena, invece, gli sorrise. «L'hanno preparato tutto per te.»

Prima ancora di chiedere cosa, Richard chiese: «In che senso tutto

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