Capitolo 34: Non guardata

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Come faccio a buttare via tutti questi ricordi che sento così vividi dentro di me? Come faccio se tutto mi parla di lei, se in questo momento la mia vita non fa altro che ricordarmi che lei sia lì fuori? Senza parlare del fatto che a ricordarmi di noi ci sia anche una collana dorata a picchiettare sul mio petto ad ogni mio passo.

Non riesco a capacitarmi di quello che sia successo ieri in ospedale, certo sì, sono un primario e dovrei essere abituata ad ogni possibile colpo di scena dentro quelle mura ospedaliere. Ma la verità è che non si è mai abbastanza preparati quando il paziente che stai cercando di salvare fa parte della tua vita, intima.

Non ho ancora guardato il mio telefono da ieri pomeriggio, l'ho preso in serata solo per mandare un messaggio a Laura, sapendo che qualora non lo avessi fatto sarebbe spuntata anche nel pieno della notte per vedere come stessi. Purtroppo però, non ho avuto il coraggio di dirle niente su Elena, ho lasciato che intendesse soltanto che adesso si è risvegliata e che volessi lasciarle un po' di riposo.

Se solo sapesse cosa sta succedendo invece...

Stamattina la colazione non ha sapore, come se le mie papille gustative non volessero fare il loro compito, perfino il caffè non scotta e l'aria sembra non voler aiutarmi a respirare. La mia cucina mi fa sentire un'ospite inattesa, un estraneo fuori luogo che tenta di prendere del cibo che non gli spetta.
Forse però, sono soltanto io che mi sento terribilmente fuori di me, mi sento arenata in una situazione fuori controllo.

Io sento così irreparabilmente beffata dalla vita.

Adesso però, devo ricompormi il meglio possibile e cercare di riafferrare la mia vita, iniziando a scorrere tutte le notifiche sul mio cellulare, durante il tragitto verso il lavoro. Ho ricevuto diverse chiamate da Giorgio e Marco, sicuramente entrambi in pensiero per me da come io sia scappata via ieri pomeriggio.


«Buongiorno Vera!» Marco si precipita e mi stringe in un forte abbraccio, il moro molto più alto di me mi copre dalla testa ai piedi donandomi un calore che in questo momento non sapevo neanche di aver così tanto bisogno, tanto da lasciarmi stritolare come un peluche.

«Ti ho chiamata così tante volte ieri, ero preoccupato.»
Sento pronunciare questa dolce frase sopra la mia testa, mentre ancora mi stringe forte a sé ed io, mi godo un altro minuto di questo abbraccio che sembra volermi ridare un po' di vita perduta.

«Sì, io avevo bisogno di stare un po' da sola a dire il vero...scusami se ti ho fatto preoccupare.»
«Ei, non devi proprio scusarti con me. Sappi solo che sono qui per qualunque cosa, anche per stare un po' in silenzio insieme a te, se lo vorrai.»

In quel momento tolgo il viso dal suo petto, dove sento battere rumoroso il suo grande cuore, lo osservo dal basso e finalmente dopo giorni di angoscia trovo una motivazione vera per sorridere.

«Beh, sai potrei accettare volentieri il tuo invito. »

Ci separiamo dopo un paio di aggiornamenti su diversi pazienti, senza mai però menzionarne uno, fondamentale per me, che sta mandando in tilt il mio stato nervoso.
Decido di passare prima a controllare un paio di pazienti che sono stati ricoverati negli ultimi giorni, fino a che non mi imbatto alla fine del lungo corridoio in Giorgio, mentre è intento a blaterare da solo con la macchinetta del caffè. Per un attimo sono tentata di girare i tacchi e dileguarmi, ma so che sarebbe soltanto una questione di minuti e che sarebbe inutile scappare via un'altra volta.

«Giorgio, buongiorno.»
Mi appoggio vicino alla macchinetta osservando la sua mano destra pronta che attende la fine dell'erogazione del suo caffè.
«Vera, ti ho scritto tutto il giorno ieri.»
Ha un tono afono, sembra rassegnato, esausto da tutto quello che la vita gli sta togliendo negli ultimi mesi.

«Mi spiace, ho avuto un po' di cose per la testa, sai.» Gli sorrido svogliatamente ed entrambi annuiamo a quelle mie parole, come se anche lui fosse sintonizzato sullo stesso canale dei miei pensieri, beandomi del vantaggio di non dover aggiungere nulla.

«Già, posso immaginare.» Un piccolo segnale acustico irrompe tra i nostri pensieri, lui acchiappa il caffè chiedendomi tacitamente se ne volessi un po', dopo il mio rifiuto si avvicina a me e comincia a sorseggiare la bevanda scura. «Non abbiamo chiuso occhi, io ed Eva siamo rimasti qui a parlare con lei tutta la notte. Abbiamo cercato di dirle nel miglior modo possibile tutto sui suoi genitori ed anche ciò che è successo a lavoro.»

I suoi occhi sono viola carichi di rabbia, dolore e stanchezza, mi si spezza il cuore vedendo quest'uomo gigante ridotto in tale stato.
«Lei come sta adesso?»
«Dio Vera... peggio di come pensassi. Peggio della prima volta.»
A quelle parole sento come se qualcosa si fosse spezzata in me, sento i miei occhi caricarsi di lacrime, ma tiro su la testa per evitare che possano scendere, cercando di ricompormi un po'.

«Ѐ totalmente impazzita, urlava come una matta. Si stava strappando via tutte le bende, i tuoi colleghi hanno dovuto darle un calmante.»
«Adesso sembra più calma, ma i suoi occhi...sono vuoti. Non sembra neanche interessarsi alle cose che io ed Eva le diciamo. Non è più lei.» Pronuncia quelle ultime quattro parole con un filo di voce, accompagnate da una lacrima che scende impetuosa sul suo volto. «Dimmi che tornerà a ricordare, dimmi che tornerà ad essere sé stessa.»

«Come posso dirti qualcosa che io non so, Giorgio?»

«Ci deve essere qualcosa, no? Una cazzo di soluzione ci deve pur essere!» Accartoccia violentemente il bicchierino ormai vuoto lanciandolo con rabbia dentro il cestino, in fine si volta a fissarmi ancora. «Che si fa ora?»

«Tu dovresti andare a casa a riposare adesso, ti prometto che risponderò ad ogni tuo messaggio d'ora in avanti. Ho già avvisato tutto il mio staff ieri, inizieremo una terapia per vedere se Elena reagirà come speriamo. Non possiamo fare altro per il momento, Giorgio.»
«D'accordo, d'accordo, ma non sparire più ti prego.»
«Farò del mio meglio, ci vediamo presto.»

Ci salutiamo fugacemente, mentre lo osservo andare verso la porta di uscita caccio via un bel respiro e richiamo a me tutte le forze per andare a vedere come sta Elena, prima però farò una piccola deviazione verso il reparto di neurologia e psichiatria per assicurarmi riguardo l'inizio della terapia di Elena.

**

Una volta arrivata davanti la piccola stanza, stavolta baciata dal sole, busso cautamente notando le due sorelle intente a parlarsi a bassa voce. Gli occhi di Eva sono scavati dalla stanchezza, il loro solito colore sembra adesso sbiadito ed il suo prorompente sorriso non accenna a mostrarsi mentre parlotta qualcosa che non riesco a udire.

Le due si girano contemporaneamente verso di me, con due sguardi totalmente opposti, quello di Eva sembra accendersi di speranza, mentre quello di Elena resta completamente vuoto, neutrale.

Non mi sono mai sentita così non guardata da lei.

Non faccio in tempo ad entrare in stanza che Eva scatta in piedi correndo ad abbracciarmi quasi fino a togliermi il fiato. Davanti a me trovo un'Elena che ci fissa confusa, alzando un sopracciglio mentre assottiglia lo sguardo.

«Eva, ei buongiorno.»
Sento il suo petto che lentamente torna a respirare con la giusta regolarità, come se fosse rimasta minuti interminabili in apnea, non so proprio come riuscirò a gestire tutto questo adesso.

«Elena, come ti dicevo stanotte, lei è la dottoressa Vera. Non hai idea di quante volte ti abbia salvato la vita negli ultimi mesi.» Non so perché le stia dicendo queste cose adesso, Eva velocemente riprende posto al fianco della sorella, con un sorriso dolce.

«Beh, diciamo che ho soltanto fatto il mio lavoro. Come stiamo oggi?»
«Direi che per quel che ricordo, posso dire di aver avuto periodi migliori.»
«Certo, è ovvio. Adesso le controllo tutti i parametri d'accordo?»

Mentre visito velocemente Elena, che come suo solito si mostra attenta, intenta a scrutarmi da cima a fondo con una curiosità assai diversa rispetto a ieri, stavolta sento i suoi occhi ispezionarmi con fare interessato. Vorrei tanto sapere cosa le sta passando ancora una volta per la mente, vorrei essere spiazzata dai suoi pensieri un'altra volta com'è solita fare.

Com'era solita fare.

«Sa dirmi quando potrò uscire da qui, dottoressa?»
«Dovremo aspettare ancora qualche altro giorno prima di dimetterla, oggi avrà un incontro con uno specialista per la sua amnesia. L'ospedale le fornirà anche un supporto psicologico, vista la situazione delicata che sta passando.»
«Capisco, nel frattempo potrei avere qualcosa per il mal di testa? Non riesco a chiudere occhio, mi sento un martello pneumatico in testa.»


«Dai, non stare sempre a lamentarti su, ora Vera ti darà qualcosa.» La punzecchia sua sorella beccandosi un'occhiataccia che però accompagna con mezzo sorriso di circostanza.

Finisco la visita di Elena controllandole per ultima, proprio la ferita che tanto ci ha fatto penare in fronte. «Posso?» La osservo titubante indicandole la benda fino a quando lei, dubbiosa accetta dandomi il suo lascia-passare.

Tolgo i due giri che ricoprivano la sua fronte, notando quanto la cicatrice sia grande, si trova vicino l'attaccatura dei capelli sulla tempia sinistra. «Procede bene, adesso la farò medicare dall'infermiera e le darò anche qualcosa per il dolore alla testa.» Finisco quelle frasi suonando il campanello attendendo che arrivi un infermiere.
Io adesso non posso che pensare a quanto sarà ancora di più giù di morale guardandosi quest'altra nuova cicatrice che vuole segnarle il corpo per sempre.

Stavolta in un punto ancora più evidente del solito, vorrei stringerla a me e dirle quanto per me resterà sempre irreparabilmente bella, nonostante i mille segni sul corpo.

«Vera, posso parlarti un attimo?»

Eva mi riporta alla realtà, facendomi inconsapevolmente accorgere di quanto sia rimasta immobile a fissare Elena per troppo tempo. Con un cenno veloce del capo la seguo fuori dalla porta, sotto lo sguardo scrutatore di sua sorella maggiore.

«Come stai?» Inizio subito io, prima che lei possa dirmi qualunque cosa.
«Stavo per farti la stessa domanda, sai? Hai un'aria sconvolta, come se fossi stata tu sotto i ferri e non lei, lo sai questo, vero?»
«Cosa devo dirti? Vorrei solo che tutta questa situazione non esistesse. Giorgio mi ha detto di come ha reagito stanotte alla notizia dei vostri genitori. Proprio per questo al momento non ho intenzione di dirle niente su di noi, lungi da me darle informazioni che adesso non sarebbe in grado di gestire. Prima voglio che parli con qualcuno, ha bisogno di andare in terapia...»

«Lei andava già in terapia, Vera. Aspetta, dovrei avere il suo numero sul cellulare, purtroppo il telefono di Elena è andato distrutto nell'esplosione.» Ascolto la piccola donna davanti a me, mentre scorre nella sua rubrica alla ricerca di un modo per aiutare sua sorella.
«Eccola sì, ci sono stata anche io un paio di volte prima di partire per Milano. Si chiama Elisa Forneo, la chiamo subito.»

Si sposta velocemente alla finestra vicino l'ingresso delle scale, mentre tenta di chiamare la dottoressa. Quando ruoto lo sguardo verso la stanza della corvina semiaperta, la trovo ancora più confusa di pria tentando di osservare ogni mio movimento. Si è quasi alzata di mezzo busto per poterci vedere meglio facendo fare un po' di fatica all'infermiera che tenta di medicarla.


«Ha risposto, sarà qui a momenti.»
«Ok, ti do il mio numero di telefono, quando arriva avvisami devo metterla al corrente della terapia che inizierà con noi.»

Mi allontano dando un ultimo sguardo a quella donna in balia di sé stessa, mentre Eva mi sorride aggiungendo: «Vedrai, andrà tutto bene.»
Mi scappa un piccolo sorriso orfano di una giornata che non ne vuole sapere di raddrizzarsi nel verso giusto.

Passo le successive due ore tra visite e controlli, di tanto in tanto mi arriva qualche messaggio di Giorgio, ai quali ovviamente mi appresto velocemente a rispondere. Non voglio che si preoccupi ancora per me, almeno questo posso evitarglielo. Ha già molto a cui pensare tra Elena e la sua squadra.

Mentre bevo un caffè sento il mio cellulare squillare, è Laura, vorrà sicuramente sapere come sta Elena ed io non posso posticipare ancora le sue chiamate, sarà almeno la terza che mi arriva oggi.

«Ei tesoro.»
«Ei tesoro un corno! Eccoti finalmente, sono ore che tento di sentirti. Va tutto bene?»
«Scusami ho avuto una giornata un po' impegnativa. Va tutto bene, tu invece?»
«Sì va tutto bene. Elena come sta, si è ripresa?»
«Sì-sì, è un po' scossa ovviamente, ma si riprenderà lo sai.»
«Certo, pensavamo di passare più tardi a salutarla, pensi che le farà piacere?»

E ora che le dico?


«Io credo che non sia il momento giusto Lau, non ha molta energia e passa più tempo a dormire che altro. Magari nei prossimi giorni, che dici?»
Sento un sospiro leggero passare attraverso il telefono. «Ma certo, certo. Magari sarà meglio vederla quando uscirà. Portale i nostri saluti però ok?»
«Certamente, adesso vado che ho un po' di cose da fare. Salutami Diego.»


Nel giro di pochi minuti mi ritrovo di nuovo davanti la stanza di Elena, dopo aver ricevuto un messaggio da parte di sua sorella nel quale mi aggiornava sull'arrivo imminente della psicologa.

«Mi ha detto che è arrivata adesso, sarà qui a momenti.»

Si aprono le porte dell'ascensore alla fine del corridoio ed una figura femminile snella e slanciata gira il viso verso di noi. «Elisa, eccoci da questa parte.»
La saluta con un cenno della mano Eva al mio fianco, mentre la donna si avvicina a passo svelto verso di noi. Ha una postura elegante, i capelli castano scuro che le ricadono sulle spalle e due enormi occhi verdi smeraldo nascosti da un paio di occhiali da vista con una montatura leggere in metallo, quasi impercettibile.


«Salve, io sono la dottoressa Elisa Forneo, lei deve essere Vera, giusto?»


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