Capitolo 26: Il mio satellite

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Lo sguardo severo e preoccupato di Diego segue la mia figura, ormai troppo snella, riesco a sentirlo addosso nonostante io sia di spalle, nonostante io stia fingendo di ascoltare le novità di Laura, le bellezze dei posti che hanno visitato nei scorsi giorni.


La verità è che da quando sono tornati ieri, Diego non fa che scrutarmi. Mio fratello sembra cercare un mio punto sottile di rottura, anche il più invisibile, lui è lì in silenzio come suo solito che attende anche solo un piccolo passo falso da parte mia, qualcosa che mi spinga a svelargli ogni mia paura, ogni mia fragilità.

Ricordo la sua chiamata di quasi due settimane fa ormai, quando ero in casa con Elena ed Eva. Ricordo più di tutto però la sua voce rotta che echeggiava nell'aria come se fosse presente insieme a noi. Mi sconvolse così tanto sentire la sua preoccupazione, fu proprio lì che pian piano fece strada in me la paura tacita di andare avanti.

Non riuscivo ad ammetterlo a me stessa, ero presa da Elena e dal modo in cui le nostre vite avrebbero potuto mischiarsi l'una con l'altra, ma quella sera quella telefonata mi turbò irreparabilmente.

Qualcosa cominciò a muoversi in me, un sentimento che fino ad allora non avevo ancora studiato: avevo davvero paura per la mia vita. Tutto quello che avevo pianificato nella mia vita stava andando vertiginosamente in fumo, non avere più certezze né potere decisionale anche nelle piccole scelte di vita quotidiana fece scattare qualcosa in me: avevo un forte bisogno di riprendermi la mia vita in mano.

Io che ho sempre cercato di controllare e pianificare ogni singola virgola della mia esistenza adesso mi sento ingabbiata in qualcosa che non posso governare e non è solo fastidioso. No, forse se fosse soltanto fastidio ciò che provo potrei conviverci con un po' di sana autoironia.

L'unica verità è che mi spaventa terribilmente essere vittima e carnefice di qualcosa che non mi appartiene. Vittima perché sono stata e sarò ancora il prossimo obiettivo di uomini di cui non conosco esattamente nulla. Carnefice perché so che adesso con la mia famiglia riunita qui potrei spingere loro a far del male proprio ai miei cari. E questo so che non potrei mai perdonarmelo, né adesso né in un'altra vita.


I giorni scorsi sono passati lentamente, avevo l'impressione di scandire ogni singolo istante, forse era solo una mia sensazione, era davvero la paura che mi faceva galoppare il cuore ad ogni singolo movimento sconosciuto nelle mie vicinanze?

Ormai riesco quasi a sentire i respiri ed i battiti delle mie guardie del corpo andare all'unisono con i miei.
Del resto, non posso essermelo immaginata, no?


«Ma allora, ci sei o no?» È Laura che, strattonandomi un po' il braccio, mi riporta al presente proprio qui in riva al mare.

«Eh, sì sì la cascata. Il gelato che è caduto a papà, ho sentito sono qui Lau.» Cerco di ripetere le ultime parole che credo di aver captato.

«Vera. L'avrò detto almeno cinque minuti fa tutto questo. Stavo dicendo che...» Abbasso lo sguardo, tuffo la testa tra le mani poggiate sopra le ginocchia.

Lei di rimando posiziona dolcemente una mano sulla mia spalla e continua. «non importa. Senti, volevo solo farti andare via con la mente da tutto il resto. Ma ascoltami, ti prego. Quello che ti sta accadendo non è normale, non è semplice neanche metabolizzarlo figuriamoci conviverci. Io credo che tu abbia bisogno di parlarne sai? Non ti aiuterà di certo far finta di star bene, fingere che tutto questo non ti spaventi.»

«Laura, ascoltami tu. Io non ho mai chiesto tutto questo, non mi sono mai posta il problema di fare una giornata al mare con la mia famiglia come adesso. Forse avevi ragione tu all'inizio, avrei solo dovuto mandare Elena e le sue storie a quel paese fin da subito, ecco.»

Sputo tutto fuori senza neanche alzare la testa, rimango immobile, sento la mano di Laura irrigidirsi, riesco a percepire lo stupore di mia cognata.

«Avevi detto che mi avresti raccontato tutto di voi due una volta tornata ma ancora non lo hai fatto. Per telefono sembrava completamente tutto l'opposto di ciò che le mie orecchie stanno sentendo adesso, poi in web eri così strana mentre parlavi di voi, cos'è che non mi dici tesoro... Ti ha fatto dell'altro?»

«Altro?» Finalmente alzo la testa per incrociare i nostri sguardi. «Davvero credi che Elena ha bisogno di fare altro per farmi pensare tutto ciò? Dico ma mi hai vista? Sono passati solo pochi mesi da quando ci siamo conosciute e sì e no abbiamo passato quanti? Due momenti davvero felici insieme? Già proprio due e guarda quanto mi sono costati cari!»

Indico con lo sguardo i due uomini a cinquanta metri da noi. «No, non ha fatto altro comunque. Non mi ha scritto, è venuta in ospedale per il suo dannato lavoro ed io ho chiuso con lei.»
«Non ho capito Vera, perché avresti chiuso con lei?»

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