Capitolo 29: Sirene

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«Diamine, queste sirene finiranno per far esplodere i miei timpani.»
«Per caso non hai dormito bene dottoressa?» Chiede Marco avvicinandosi insieme a me a controllare la barella che è appena arrivata al pronto soccorso. «Senti chi parla, è un miracolo che tu non stia dormendo in piedi stamattina mio caro.»

Bonariamente gli indico le due occhiaie che abbracciano i suoi occhi. Sono contenta che almeno qualcuno qui dentro dia giustizia alla propria giovane età.

«Ce la faccio, ce la faccio. È solo un colpo al braccio, posso camminare tranquilli.» Una donna, alta e bionda incespica giù dalla barella sfoggiando un finto tono composto e un evidente distintivo sulla cintura.

«Salve, sono il primario di turno. Vedo che è ferita, ci segua da questa parte prego.» Il tempo di richiamare l'attenzione dell'agente ferita, che un sorriso sbuca sul suo volto, quasi come se mi avesse riconosciuta.

«Si è dimenticata già di me? Sono la collega di Elena, ci siamo conosciute quando è morta Maria Marciano.» 


Adesso che la metto un attimo a fuoco riconosco subito in lei la stessa agente che qualche giorno fa parlava con il mio collega Luigi mentre io sgattaiolavo via dalle loro mille domande, dritta verso il mio ufficio.

Dopo esserci scambiate un paio di convenevoli ed aver ricordato che la donna si chiami Alessia, mi appresto a rimuovere il bossolo sul suo braccio sinistro e a ricucirne la relativa ferita.

«Non è molto profonda, ci metterai davvero poco a riprendere il corretto uso del braccio, anche se dubito ascolterai i miei consigli, dico bene agente? Ormai sono abituata a vedervi scappare sul campo con ancora le ferite fresche»

Fingo un lieve sorriso, beffandomi dell'incapacità di tutti i suoi colleghi, Elena compresa, che ho curato in questi ultimi mesi, di stare fermi a riposo almeno un paio di giorni.

«Non è il momento di riposare dottoressa, ma sto bene davvero, la ringrazio»
Non ha il tempo neanche di alzarsi e prendere la sua giacca riposta sulla sedia vicino, che il suo cellulare poggiato sulla mia scrivania inizia a squillare mostrando il volto della donna che non vedo da quella sera fuori dal mio portone.

«Mi scusi, devo rispondere. – Ei, sto per essere dimessa, novità? [...] Dannazione, Ok-ok. No, ci penso io, fidati di me Elena.»

Come pensavo ha un modo cordiale e conciso di parlarle, sintomi di un sano e reciproco legame di fiducia.

In sottofondo percepisco qualche parola storpiata di Elena, urlata con toni poco pacati segno che comunque sia il suo modo di essere colpisce ancora, anche se stavolta sembra essere davvero furiosa o forse, preoccupata per qualcosa che purtroppo però non riesco ad afferrare.


«...la vado a cercare io, mi trovo a due passi da lì, sono in ospedale. Promesso, ti aggiorno appena sarò sul posto.» Chiude la chiamata, noto il suo volto perso nel vuoto e con giacca e telefono nelle mani mi saluta appena uscendo dal mio studio con un cenno del capo, gli occhi preoccupati e il sorriso che prima la caratterizzava adesso è completamente dissolto nel nulla.

Lascia solo una scia di parole sconnesse nella mia testa.


****

Ho finito di lavorare alle diciassette e Diego oggi ha insistito nel volermi portare con lui a giocare con i cani in un parco vicino casa sua, dice che la natura lì faccia dimenticare tutto il grigio della città. Mi fa molto piacere stare un po' sola con lui, è davvero passato tanto tempo dall'ultima chiacchierata che siamo riusciti a farci in tranquillità, mi sento ancora terribilmente in colpa per come l'ho trattato nei giorni scorsi.

Ovviamente non saremo soli nella nostra gita, ho chiesto alle guardie se ritenessero questo spostamento un problema per noi e per loro, ma hanno dolcemente acconsentito, forse per evitare che tutto questo influisca troppo nella mia vita, chissà.

Diego è appena venuto a prendermi con quell'aria da ragazzino snob che però, non dura neanche un battito di ciglia sul suo viso.

Indossa una camicia di lino bianca con righe sottili azzurre ed un bermuda beige, il tutto coronato da un paio di Rayban neri che immediatamente solleva sulla fronte appena mi vede salire in auto, sfoggiando un paio di occhi verdi felici e raggianti. Non sono molto esperta di uomini, questo lo so, ma credo sia uno dei più belli che io abbia mai visto.


«Eccoci qui, sono mesi che voglio mostrartelo!» Libera i cani che cominciano a scorrazzare gioiosi a destra e sinistra, io rimango imbambolata dalla varietà di fiori disposti in diverse piazzuole delimitate da recinzioni eleganti. È un posto incantevole, il verde del prato calpestabile si distende senza sosta ai margini di ginepri e pini sparsi.
  
Dopo una lunga corsa con i nostri cuccioli mi accascio stremata sul prato mentre Diego scatta qua e là un paio di foto con il cellulare.

«Questo prato è immenso, è un incanto! Non pensavo neanche esistesse sai?!»
«Oh figurati! Non che la cosa mi stupisca troppo eh.»

Igor, il labrador color cioccolato si distende al mio fianco e cominciamo a farci le coccole a vicenda. In questi giorni passati sola con loro ho capito quanto mi piacerebbe averne uno, se solo la mia vita avesse un ritmo più blando non sarebbe tanto un problema.

L'isola senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora