Capitolo 24: Veleno

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Sono passati già diversi giorni dalla partenza della mia famiglia, ammetto che mi sento un tantino svuotata senza loro tra i piedi, anche se i cani riempiono a tempo pieno le mie giornate.

 Un'altra cosa svuotata, ancora una volta, è il complesso delle mie sensazioni verso Elena. Non l'ho più risentita, né vista e questo mi trasmette un'inquietudine che non riesco a descrivere. Da un lato vorrei approfondire il nostro legame, che ormai, non è più invisibile da entrambe le parti, e dall'altro ho una grande paura per tutto quello che ultimamente sta accadendo, tutto così in fretta senza darmi la possibilità di capirci di più.

La nostra non-relazione mi mette in croce, mi sento messa da parte, vorrei soltanto un segno da parte sua che nonostante tutto stiamo passando questo oblio insieme, non separate.

Oggi, come promesso, aspetto che Laura mi chiami in web, sono diversi giorni che rinvio questo momento, così finalmente accetto cliccando sull'icona verde del mio smartphone.

«Ehi tesoro mio ciao!» È in camera da letto, sembra essere sola per fortuna.
«Ciao Lau, quanto sei abbronzata, mi fai venire un'invidia pazzesca.»
«Così impari a startene a casa e non venire in vacanza- mi dice facendomi una linguaccia- come vanno le cose lì? Ti vedo un po' troppo magra o è impressione mia?» Mi rimprovera con lo sguardo.

«Ma no, sarà lo schermo piccolo del telefono, cosa dici!» Fingo, come sempre, che vada tutto bene. Fingo di credere che mi creda.
«Certo, immagino. Qui il mare è una favola, tuo fratello e tuo padre passano tutte le sere a pescare in riva al mare, non so dove trovino tutta quella pazienza.»

«Ah, non dirlo a me, li ho sempre invidiati per questo. Mamma invece, cosa fa?»
«Lei passa il tempo a leggere libri, abbronzarsi, leggere giornali...insomma la conosci, non si fa sfuggire nulla.» Gesticola con le mani disegnano cerchi nell'aria.

«Certo per carità, sia mai le sfugga qualcosa e venisse avvisata in ritardo.»
«E tu invece? Notizie di Elena?» Chiede finalmente lei, come se si stesse tenendo quella domanda tra i denti da troppo tempo.
«Tutto normale, lei ha il suo lavoro, io il mio.»

«Capito, capito. Quando torno mi racconti tutti per filo e per segno, lo sai vero?»
«Laura ti prego, non c'è niente da raccontare.» Sbuffo platealmente. 
«Cosa? Tu finalmente conosci una persona che mi piace e non vuoi dirmi tutti i dettagli?! Sei impazzita vero?»

Rimango un attimo di troppo a pensare a cosa rispondere, qualcosa in me si è rotto, sento che qualcosa stia realmente cambiando.

«Abbiamo fatto sesso, fine della storia, il resto si vedrà. Saprai tutto quando ci sarà un tutto, sarai la prima a saperlo, promesso tesoro.» Cerco di addolcire le ultime parole, cercando di non dare troppo nell'occhio, chiudiamo la chiamata scambiandoci baci virtuali. Poso il telefono e fisso quello che resta davanti a me: il vuoto.

Questa giornata sembra non voler finire, con il sole che ci accompagna fino a tarda sera.
Osservo gli ultimi fasci rossi di luce illuminare il mio salotto, sono distesa, il mio corpo è anchilosato ed io mi sento irreparabilmente inutile, vorrei alzarmi e correre via da queste quattro mura che sanciscono la fine della mia libertà.

Mi sembra un ricordo lontano mio padre che mi dice di dovermi godere di più la mia vita, la mia casa e tutto ciò che mi circonda, proprio adesso invece a distanza di qualche settimana della mia vita non ricordo altro che questa casa con vista mare.

Mi ritrovo sul mio divano ancora così poco consumato, intenta a bere una birra e lasciare che i miei pensieri prendano forma nella mia mente, per una volta voglio evitare di controllarli, voglio che vaghino soli in cerca di un nuovo punto di vista ancora a me sconosciuto. Mi addormento così, in un salotto spoglio di parole, ma colmo di emozioni, confusa più che mai.


****



È mattina, vago per i corridoi dell'ospedale cercando qualcosa su cui appigliarmi, cercando qualcuno da salvare che non sia me stessa.
Ho passato metà mattina a sistemare i turni insieme a Luigi, ed ora giro per le stanze comuni, alla ricerca di qualcosa da aggiustare quasi in maniera compulsiva.

Smonto scaffali, cerco cartelle perse nei miei cassetti, rintraccio farmaci che i miei poveri colleghi, sempre troppo indaffarati, lasciano sparsi qua e là aspettando che il prossimo li sistemi e quel prossimo, sono spesso io.


«Sempre a darti da fare più del dovuto, eh?»
Quella voce arriva dritta alle mie spalle, mi volto e trovo Elena appoggiata alla parete.
«Cosa ci fai qui?»
«Aspetto che si svegli un vostro paziente.»
«Ah già, allora dovresti stare dietro la sua porta, non davanti la mia.» Stizzita rispondo distogliendo lo sguardo.

«Volevo sapere come stavi.»

«Elena, hai un telefono. Hai anche un numero a cui chiederlo, hai idea di quanti giorni siano passati da quando ci siamo viste l'ultima volta?»

Si avvicina verso di me con quello sguardo prepotente come se anche stavolta avesse la piena consapevolezza della sua ragione.

«Alt, stai lì. Non ho voglia di sentire un'altra parola, sai che c'è? Sono stanca Elena, sono stanca di correre dietro i tuoi tormenti, sei sparita proprio con la stessa velocità con la quale sei arrivata nella mia vita.»

Di colpo vedo il suo sguardo cambiare, schiude la bocca e con la lingua traccia il perimetro dei suoi denti.

«Ci ho pensato, ci ho pensato davvero tanto in questi giorni. Avrei davvero voluto attendere che tutto questo finisca insieme a te, ma sai qual è il punto? Il problema sei tu, con o senza casini attorno. Mi hai illusa dal primo giorno e nonostante io voglia credere nella parte più profonda di te, quella più spontanea riemerge sempre.

E la verità è che l'unica protagonista sei sempre e solo tu, io non posso lottare per entrambe, non posso mettere i miei sentimenti anche per te.» Come un uragano di emozioni sputo tutto il veleno che ho dentro, tutta la rabbia racchiusa in queste giornate emerge divorando Elena con sé.

La donna che ho davanti comincia a ridere, sghignazzando, tira indietro la testa e mi guarda attentamente, tutto questo mi confonde sempre di più, il mio sistema nervoso è al limite. Mi fa assolutamente andare fuori di testa, io non la capirò mai. Ancora un'altra volta i suoi occhi cambiano modo di guardarmi, portando l'iride a rimpicciolirsi sempre più per lasciare spazio a quel dannato grigio.

«Bene, allora se non hai altri monologhi da propormi io vado. Hai proprio ragione Vera, adesso tolgo il disturbo.» Con un ultimo cenno del capo si volta e chiude velocemente la porta dietro di sé, sento i suoi anfibi sbattere repentini sul pavimento mentre va via da me. Mi ci vuole un po' per comprendere cosa sia appena successo.

Mi ci vuole molto di più per capire di avere appena chiuso un capitolo della mia vita che sembrava così pieno di promesse.

Non so cosa sia giusto, non so se ho appena fatto scacco matto alla vita, o se io abbia appena commesso l'errore più grande, ma una cosa è certa, in questo momento è tutto soltanto più confuso.


Mi dirigo verso l'unico posto che sa darmi forza annientando i miei pensieri superflui qui dentro: la sala d'attesa. È stracolma, guardo i codici dei pazienti sul display, sembrano fare a gara a chi arrivi primo. Lancio uno sguardo fuori, vedo la mia solita guardia del corpo intenta a perlustrare dentro e fuori con fare serioso, quando finalmente scorge il mio volto e sorride mestamente.

Chissà come dev'essere per loro vivere in continuo pericolo, con l'adrenalina che si fonde all'ansia, allo spirito di sopravvivenza primordiale. Non li invidio per niente, vorrei solo poter dir loro di andare serenamente a casa dalle loro famiglie.

«Ecco a te.» Porgo un bicchiere di plastica rovente con il liquido scuro al suo interno, all'uomo che mi ha rivolto un innocente sorriso due minuti fa.

«Non doveva preoccuparsi, la ringrazio.» Mi fa un cenno con il capo e afferra il bicchiere voltandosi subito a guardarsi intorno.

«Se hai bisogno di qualcosa chiedi pure, non preoccuparti. Adesso torno dentro.»
«Qui è tutto sotto controllo, buon lavoro dottoressa»

La conversazione si gela lì, giace veloce con due battute, perché sicuramente i suoi ordini non prevedono altro. Lascio l'uomo al suo lavoro, mentre corro verso Marco che mi fa un cenno veloce con la mano per l'ennesima urgenza in sala operatoria. Ci chiudiamo alle spalle le porte iniziando i nostri piccoli rituali per cercare di aiutare il prossimo paziente.

Anche stavolta è andata bene, una donna sulla quarantina ha avuto un piccolo incidente in moto, se la caverà con qualche giorno di ricovero.

«Pensavo avesse fame, tenga.» Marco mi porge un panino, conscio del fatto che io non mi sia fermata un solo istante da otto lunghissime ore.

«Grazie caro, in realtà hai proprio ragione. Giornataccia oggi.» Ci sediamo in un angolino, distanti da tutto e tutti, mentre addentiamo i nostri panini.
«Sa, ormai ho smesso di sperare nei giorni migliori qui dentro. Almeno fino a quando le strade lì fuori continueranno a fare tutto questo casino»

Ci guardiamo attentamente mentre cacciamo due sospiri stanchi quasi in sincronia l'uno con l'altro.

«Com'è vivere qui, intendo da sempre? Non hai mai pensato di mollare tutto?»
«Accidenti, sì. Quando ero piccolo avevo un sogno: andare lontano, il più lontano possibile da qui.» Dice lui fissando il tetto sopra di noi.

«E poi?»
«Ho sognato di abbandonare questa terra così tanto da capire che in realtà il mio sogno più grande è vederla migliorare, proprio qui. E migliorare anch'io con lei.»

«Spero proprio che questo possa accadere Marco, a volte mi sento di essere in un incubo. So di non avere scelto questa città inizialmente, ma da quando sono qui non riesco a vedermi in un altro posto che non sia questo. La mia famiglia mi prende per matta sai?» Sorrido, sconfitta dai miei stessi pensieri.

«E lei si faccia prendere per pazza, perché fino a quando ci sarà gente come lei che vorrà cambiarla questa terra, ci sarà ancora speranza che questo possa succedere. Dottoressa, la prego, tenga duro, sono giornate difficili ma abbiamo bisogno di lei.» Abbassa lo sguardo timidamente, mentre finisce la frase. « Non ho mai avuto un primario come lei, mi sento motivato a fare sempre meglio da quando lei è qui.»

«Marco?»
«Sì?»
«Puoi smetterla di darmi del lei, per favore?» Alza lo sguardo terminando in un dolce sorriso.
«Ci proverò dottoressa»

Terminiamo i nostri panini scambiandoci complici sguardi, per poi dirigerci verso i rispettivi compiti, alla ricerca di un posto migliore, o da migliorare.

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