Capitolo 4: Una bellezza irresistibile.

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La solita puzza di disinfettante inebria le stanze intorno a me, nonostante la città sbandata, devo dire che quest'ospedale ad igiene non è messo male.

Sono passati sei giorni dalla serata al mare, e i discorsi di mio padre riaffiorano di tanto in tanto nella mia mente.

Da quella sera ho cercato di dare più importanza alle piccole cose come se potesse cambiare qualcosa. In compenso mi sento più rilassata, e quando ritorno a casa se non è troppo tardi passo con l'auto dal lungomare dato che è sempre un po' pericoloso scendere a piedi la notte.

Per quanto riguarda le donne invece, credo che lascerò ancora perdere per il momento, comunque non vedo nessuna per la quale valga davvero la pena rischiare i sentimenti.

 
Ho una lunga lista di scartoffie da sistemare oggi, siamo già a fine mese e devo organizzare tutto per fare spazio ai nuovi fascicoli per il mese che è alle porte ormai.

«Salve Dottoressa, è permesso? Mi chiedevo se stasera ha già impegni.»

Luisa entra nel mio studio con due bicchierini di caffè nelle mani, poggiandone uno sulla mia scrivania accompagnato da un ammiccante sorriso.
Dio, ma sul serio allora?! Mi sento quasi paonazza in viso, sorrido per il caffè e la guardo un attimo prima di risponderle.

«Beh, veramente dovrei uscire con la mia famiglia stasera.» Mi guarda un attimo e replica immediatamente. «Allora domani?» 

Ma ha respirato prima di parlare?

«Ho il turno di sera.» Utilizzo il suo stesso tono repentino.
«Dopo domani.» Ora sembra quasi un botta e risposta.
«Luisa, ti chiamo ok? Non è un no, ma...»
«Neanche un sì, recepito. Quando vuoi, sempre reperibile.»

 Esce via con una velocità assurda, non ho mai visto nessuno così insistente, non so se mi faccia piacere o mi irriti leggermente questo suo atteggiamento. Sicuramente è una bella donna che sa il fatto suo, avrà uomini e donne a palate una così. È bella e sa di esserlo in più è anche simpatica, ma è una collega, quindi non saprei davvero che fare.


Finisco con i fascicoli, ho fatto proprio un bel lavoro, tutto adesso risplende ed è ben catalogato. Mi alzo e vado a dare un'occhiata in giro dando una mano ai miei colleghi nei vari reparti, anche oggi la giornata si prospetta lunga mancano due lunghe ore prima delle venti, per poter uscire da qui.

Con calma e sangue freddo, riprendo le forze e ricomincio tutte le varie procedure e controlli da capo. Non c'è nulla di troppo eclatante per fortuna, solo un paio di pazienti con qualche frattura, poteva andare peggio.

Mi avvicino a controllare i pazienti in sala d'attesa dal vetro oscurante: non ci sono scene atroci né urla che richiamano la mia attenzione, sembra tutto sotto controllo.
Guardo verso l'uscita della sala, una donna è in piedi poggiata al muro che svolazza il bigliettino del turno all'altezza del collo come a volersi fare vento.

Riconosco di nuovo Elena.

Indossa dei jeans attillati scuri, un po' strappati sulle ginocchia come se fosse caduta, una maglia blu navy a maniche corte che aderisce bene al suo fisico scolpito. Credo che abbia finito il turno, indossa ancora gli anfibi della polizia. 

Ha dei capelli lunghi e ondulati di un nero inteso che, come se fosse necessario, le valorizzano ancora di più quegli occhi grigi, labbra carnose rosee e lineamenti marcati e decisi. Ha una bellezza irresistibile, insolita e ricercata, molti pazienti seduti in sala la fissano da tutte le angolazioni quasi fossero invisibili.
Dio, che sfacciati.


Do un'occhiata alla tabella dei codici, tra un paio di pazienti toccherà a lei. Bene, magari riesco a parlarle in maniera civile stavolta. 
Guardo l'infermiere, Marco, e lo avviso subito di mandarla da me non appena sarà il suo turno, lui mi fissa un attimo perplesso ma esegue l'ordine  senza chiedere spiegazioni.

Sono già seduta nel mio studio, non so neanche perché ho chiesto a Marco di farla accomodare da me dato che non so cosa le dirò esattamente, spero solo di non essere la solita imbranata.

Dopo una frazione di secondo sento bussare alla porta, do il consenso ad entrare e me la ritrovo davanti, sulla soglia della porta, un attimo titubante e mi fissa quasi sbalordita nel vedermi proprio qui. Che c'è?! Io ci lavoro qui eh. 

«Dunque ci rivediamo Dottoressa.» Adesso ha uno sguardo fermo e un sorriso compiaciuto, si avvicina a passi decisi verso di me.

L'isola senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora