Capitolo 38: stupido gioco

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Ѐ una giornata davvero strana, il sole è altissimo ma non accenna a scaldare.
I suoi raggi accecano la vista ma il suo calore non ha intenzione di mostrarsi, l'orizzonte però è costellato da nuvole scure piene d'acqua che fanno il loro lento cammino verso la città. Osservo questo turbinio di colori dalla finestra dell'ospedale prima di raccogliere le mie ultime cose e tornare a casa.

Sono appena le cinque del pomeriggio e prima di rientrare a riposarmi un po', mi avvolgo nella mia sciarpa marrone la quale mi scalda immediatamente e mi dirigo alla scogliera più vicina a casa per ammirare un po' questo mare nel cui specchio riflette il sole tiepido.

Ho trovato libera una piccola panchina in ferro battuto dalla quale poter rimirare le onde mentre il vento scompiglia la mia sciarpa che tiene saldi i capelli dentro di essa. Lascio che la mia testa ricada sullo schienale e che il sole possa schiarirmi un po' i pensieri prima di andare via.

Stamattina Eva mi ha avvisata che da lì a breve il suo volo sarebbe decollato, sono sicura che tacitamente volesse anche rincuorarsi che io mantenga la mia promessa fatta.
Mi piacerebbe sapere cosa pensa la dottoressa Elisa in questo momento, vorrei poter capire quale sia la cosa giusta da fare prima di iniziare a vuotare il sacco con Elena. La stessa Eva mi ha rassicurata più volte in questi giorni aggiornandomi sulle condizioni della sorella, che a quanto pare è tornata in terapia giusto ieri pomeriggio.

«Pronto, Diego?» Il mio telefono squilla ed io immediatamente prendo la chiamata leggendo il nome di mio fratello.
«Ei Vera, volevo avvisarti che stasera la grigliata salta, non so se hai notato ma c'è un tempo tremendo.»
Avevo completamente dimenticato di questa serata organizzata l'altra sera al pub con Marco.

«Ah beh che peccato, sì ho visto il tempo. Il cielo è pieno di nuvole ma non vedi che sole che c'è?»
«Ma quale sole, per piacere Vera! Tra poco inizia una tempesta, vedrai. Tu piuttosto, quando torni a casa fa attenzione.»
«Sono già uscita dal lavoro, tranquillo fratellone.»
«E cos'è questo rumore in sottofondo allora?» Ovviamente non può sfuggirgli il fruscìo costante ed arrabbiato del rumore del mare.
«Sono passata un attimo dalla scogliera, tranquillo adesso torno a casa.» Finisco velocemente la frase cogliendo in lui un piccolo tono di rimprovero che comincia a farsi strada nella sua voce.
«Dalla scogliera? Ma sei fuori di testa per caso? Ci sarà un gelo assurdo.»
«Cos'è sei entrato nella modalità fratello maggiore apprensivo adesso?» Lo stuzzico un po', cosa che lo fa scoppiare a ridere immediatamente beffeggiandosi del mio tono.
«No, solo che ho una sorella che ultimamente ha qualche rotella fuori posto, sai?»
«Ah sì? Si vede che con la vecchiaia ti assomiglio sempre di più allora!»

Ridiamo altri due secondi al telefono, giusto il tempo di scambiarci i saluti e chiudere la chiamata.
Prima di posare il cellulare però mi sbrigo a scattare una foto a questo meraviglioso posto. Ѐ diventato ormai un'ossessione per me questo mare, me ne innamoro ogni giorno di più, qualunque sia il suo umore.



«Dottoressa? »

Ruoto subito il capo verso quella parola che sento più familiare persino del mio stesso nome oramai, nonostante io mi trovi in un luogo completamente diverso da quello nel quale la gente è solita usarla per chiamarmi. Mi si palesa subito una figura snella, di una donna che riconosco subito anche se il sole alle sue spalle non mi permette di mettere nulla a fuoco.

«Elena, che piacere. Come stai?» Fingo che sia un semplice piacere, fingo, sperando che la mia agitazione non prenda il sopravvento nel rivederla accompagnata da tutta la sua bellezza.
«Sto bene, passo le giornate rigirando per casa.»

Noto che il suo solito andamento atletico ha lasciato il posto ad un incespicante movimento lento, più insicuro, che lascia intendere quanto ancora il suo fisico sia bisognoso di riposo. Si siede nella panchina al mio fianco puntando i suoi meravigliosi occhi grigi verso questo spettacolo terreno che si estende davanti a noi.

«Beh, può essere un buon modo per capirci qualcosa in più. Magari scopri qualche abitudine che avevi, qualche nuova passione, non saprei.» Annuisce con la bocca schiusa mentre ancora non toglie lo sguardo dalle onde che si infrangono prepotenti sulla costa.

Mentre io al suo fianco, me ne dimentico completamente, osservando il mio mare in tempesta.

«Ho trovato così tanti fascicoli di casi di polizia che non penso di aver avuto chissà quale hobby sai? – la osservo mentre comincia a massaggiarsi vicino ai punti di sutura sulla fronte, deve pizzicarle parecchio – Questi quando potrò toglierli?»

Di colpo avvicina pericolosamente la fronte verso il mio volto, ritrovandomela ad una decina di centimetri sotto il mio sguardo...una cosa di certo non è cambiata affatto: il suo profumo.

«Che ne dici?» Richiama la mia precaria attenzione con la testa ancora inclinata verso di me.
«Credo che tu possa già toglierli in realtà, passa domani pomeriggio che li togliamo. Sei stata piuttosto brava a medicarla, non è per niente arrossata.» Inspiro a pieni polmoni il suo buon profumo prima che lei possa tornare dritta soddisfatta della mia risposta.

«Tutto merito delle infermiere, sono state molto scrupolose con me anzi, posso dire di non aver lasciato loro molta scelta in realtà. Ammetto di essere stata un po' pesante con tutte quelle domande.» Potrei giurare di aver visto un piccolo sorriso farsi strada sul suo volto mentre con la mano sinistra porta indietro i suoi lunghi capelli corvini.

«Per il resto come va la tua riabilitazione?»
«Va... Non posso ancora tornare a lavorare dato che non idea di chi fossi esattamente fino a qualche settimana fa e in più, la mia sorellina stamattina è tornata al nord per frequentare l'università.» Annuisco interessata, non posso mica dirle di sapere praticamente tutte le notizie che mi ha appena elencato.

«Deve essere davvero assurdo ritrovarsi all'improvviso da sola, in una vita che stenti a riconoscere.» Ammetto voltandomi di nuovo a guardarla per cercare di captare qualche altra emozione dietro quei meravigliosi occhi grigio cenere.
«Non fraintendere sono stata io a pressare Eva per farla andare su, lei avrebbe perso il semestre pur di stare con me... ma è giusto così, io devo solo abituarmi a tutte queste assenze, a tutti questi cambiamenti. E poi non sono sola, ci sono Giorgio e Alessia che quasi mi tirano il respiro.»

Ed è proprio adesso che mi sale una voglia raccontarle quando mesi fa mi ha parlato con il cuore in mano proprio in una situazione simile, in riva al mare, di tutta la storia dei suoi genitori e della sua vita. Ma ancora una volta non ho il coraggio di aprire bocca, voglio solo che lei si apra un po'.

«C'è una cosa che vorrei chiederti.»
«Sì?» Chiedo curiosa.
«Chi era quella donna che era con te quando mi hanno dimessa?»

Giusto. E adesso?

«Ѐ la moglie di mio fratello, Laura.»
«Come la conoscevo?» Ѐ tremendamente curiosa, ha ruotato tutto il suo corpo verso di me con la sola intenzione di non lasciarsi sfuggire nulla dal mio linguaggio parlato e non. Questa donna non si può dire che l'indole investigativa la lasci dentro la divisa.

«Beh ecco, come hai potuto notare già da sola il tuo lavoro era davvero intenso e non passavi molti giorni chiusa dentro il commissariato. Un giorno mentre ero in spiaggia con Laura abbiamo assistito ad una sparatoria nella quale ovviamente c'eravate anche voi, rimase ferito gravemente Giorgio quella volta.» Il suo sguardo si è incupito subito, muove la mano facendomi cenno di andare avanti.

«Beh come dicevo mi trovavo lì e per fortuna ho iniziato subito la rianimazione e poi sono corsa in ambulanza via con lui, fu in quell'occasione che tu e Laura vi siete conosciute. Io e te ci eravamo già viste in ospedale diverse volte e poiché in quel periodo la mia auto era fuori uso hai rassicurato Laura, che era abbastanza scossa, dicendole che mi avresti lasciata a casa a fine turno.» Finisco il racconto senza guardarla, ho paura di averle detto troppo ma non sono riuscita a fermare il mio essere logorroica quando non serve.

«Ah certo, e questo spiega perché mi hai chiesto se ti riconoscessi.» Aspetto un istante prima di voltarmi verso di lei, sapendo bene che il suo tono rispecchi una provocazione bella e buona.
«Non me la sono mai bevuta la storiella delle mie tante operazioni.» Il suo tono adesso ha un non so che di terribilmente antipatico e superiore.

«Beh fatto sta che non si tratta assolutamente di una storiella Elena.» Dico stizzita mentre lei accavalla le gambe con fare disinvolto, smuovendo in me qualcosa che da tempo sembrava voler rimanere repressa.
«Sì sì per carità, mi avrai pure ricucita un paio di volte ma potrei giurare di averti quasi vista piangere al mio risveglio. Ti capita così raramente che un tuo paziente superi un'operazione?» Scoppio a ridere in una maniera spropositata da questa sua insolente battutaccia, presa dall'ilarità del momento.

«Perlomeno, non hai perso i tuoi modi di merda.»
«Scusami?» Non rispondo, tenendo lo sguardo fisso davanti a me.
«I miei modi di merda, eh?»
Dopo la seconda volta in cui Elena si sente totalmente ignorata, percepisco il suo busto avvicinarsi rapidamente verso di me mentre il suo indice si fa strada ruotandomi il mento nella sua direzione, ad una spanna dal suo.

«I tuoi genitori non ti hanno insegnato che rispondere è buona educazione?»
«Che cosa vuoi esattamente?» Ride alla mia domanda oserei direi in un modo quasi isterico.
«Risposte.» Così, immobili ancora in questa imbarazzante posizione, il suo indice adesso viene accompagnato dal pollice che sfiorandomi delicatamente il viso si affretta a stringere in una dolce presa il mio mento. «Dimmi qualcosa che non so, Vera Morello

«Potresti almeno spiegarmi cosa vuoi sapere esattamente?» I suoi occhi tengono le redini delle mie emozioni, cambiano repentinamente sfumatura come un cielo nuvoloso che muove verso nuovi orizzonti.

Finalmente molla la presa dal mio mento concedendomi un attimo di tregua permettendomi di ricomporre i miei pensieri, tutto questo mi sta divorando letteralmente le forze. Non so cosa voglia sapere da me, non credo sia possibile che lei immagini qualcosa tra noi.
Eppure c'è una luce strana nei suoi occhi...

«Ok, allora facciamo un gioco, inizio io a dirti qualcosa che tu non sai.»
«Bene, spara.» Accetto volentieri il nuovo gioco nella speranza di poterci capire qualcosa al più presto.
«Due anni fa quando ho iniziato la terapia con la dottoressa Forneo, sotto suo consiglio ho iniziato a tenere un'agenda sempre con me.»

«Ok, quindi?» Chiedo incuriosita.
«Adesso tocca a te, dimmi qualcosa che io non so.»
Elena è dannatamente competitiva, la voglia che ha di raggiungere ad ogni costo ciò che desidera si palesa nel suo sguardo attento e disarmante.

«Mi hai salvato la vita quest'estate.» Catturo immediatamente la sua attenzione, lei corruga la fronte come se l'avessi appena presa alla sprovvista.
«Come è successo? Parlamene, per favore.» Un'altra volta, la sua voce altalena tonalità acute ad altre, più basse e docili.
«Te l'ho detto, passavi davvero poco tempo in commissariato. C'è stata un'altra sparatoria, ma stavolta ero in auto con mia madre e l'uomo che scappava via da voi ha finito per urtare la mia auto, per un soffio non mi ha sparato. Lo hai anticipato prima che potesse premere il grilletto.»

Aggiungerei anche con quale odioso tono mi ha risposto non appena si avvicinò alla mia vettura quel giorno, ma forse è meglio lasciare perdere al momento, è già difficile così.

«Dio... certo che sei proprio fortunata eh.» Scoppia a ridere fragorosamente facendomi pentire di non averle detto tutto il resto di quell'episodio.
«Non più di quanto tu sia stronza.»
«Devo proprio piacerti tanto, però!» Mi spiazza con questa secca frase, muove la testa verso l'alto drizzando un po' la schiena come a stiracchiarsi i muscoli. «Intendo dire, ti sei commossa davvero per una tizia che a tuo dire ha dei modi di merda ed è oltretutto stronza?»

Basta, mi sto stancando. Le mollerei un ceffone dritto in faccia.

«Hai finito con il tuo stupido gioco adesso?»
«Ah già, giusto. No non ho finito, è qui che viene il bello. Dopo aver letto e riletto le pagine di quell'agenda ho capito finalmente un po' di cose sul mio passato. Ed hai ragione, sono stata proprio una stronza con te.»

Mi volto rapidamente verso di lei, forse anche troppo per i miei gusti, trovandola ad aspettarmi con lo sguardo fisso su di me. «Ho scritto diverse cose su di te, Vera. Tra le tante cose che ho scritto, ho trovato curioso il modo in cui ti ho trattata quando mi hai chiesto di uscire con te, la prima volta.»

Non posso credere che questo stia succedendo davvero...
«...mi hai chiuso la porta in faccia.» Aggiungo quasi timidamente.
«Voglio precisarti che continuo a non ricordare di tutto ciò, però c'è una cosa che credo di ricordare.»
«Cosa?! Di che stai parlando?»
«Non ne sono sicura, ma ho letto di averti regalato un ciondolo. Non so se lo ricordo davvero o se è una specie di sogno, ma ho un'immagine ben precisa nella mia testa da quando mi sono risvegliata e vorrei sapere se si tratta dello stesso ciondolo.»

Mi sento dentro un tornando fatto di parole, sospiri, speranze e paure. Sono certa che Elena non possa aver visto il ciondolo da quando si è risvegliata, perché in ospedale sto sempre molto attenta nel tenerlo ben sotto il camice.

«Beh...se vuoi vederla, indosso la collana anche oggi.»
«Vorrei prima descriverlo. Non voglio prendere in giro la mia mente, aspetta. Ricordo che è un ciondolo d'oro, ha una forma particolare a zig-zag alla cui estremità c'è una specie di esagono credo.»

All'improvviso sento una lacrima scendere incauta verso la mia guancia destra ed abbasso lo sguardo andando a prendere tra le dita quel famoso ciondolo di cui Elena sta parlando. Caccio via un gran respiro prima di mostrarle la collana.


«Eccolo, è così che lo ricordavi?»
Elena strabuzza gli occhi fiera e spaesata al tempo stesso da quella informazione vera che è riuscita ad estrapolare dalla sua mente momentaneamente difettosa.
Allunga una mano verso di me prendendo tra le dita il ciondolo come a voler constatare che non si tratti di un'allucinazione.

«Allora è vero...» I suoi occhi si chiudono, imprimendo forse quell'immagine nella sua mente.
«Ele...io ti avrei parlato al più presto.»

Riapre gli occhi che stavolta si mostrano senza difese, stanchi di portarsi dietro mille costumi per ogni situazione da affrontare.

«Te ne avrei parlato al più presto, credimi. Solo che ogni volta che pensavo a come fare o da dove partire, mi bloccavo.»
«Certo, immagino... Avrai pensato a quanta fatica dover ricominciare tutto da capo, non è così?»

Ma cosa sta dicendo? Non può essere davvero seria.

«Perché non sei venuta a dirmi tutto? Non capisco proprio perché aspettare, quando me lo avresti detto? Sei rimasta lì a fissarmi mentre chiedevo di sapere qualcosa sulla mia vita quando tu sapevi ben più del previsto.»
«Cosa stai dicendo? Tu non ...» Non faccio in tempo a finire la frase che lei di colpo si alza e continua il suo discorso. «Tu non mi avresti detto proprio nulla se io non ti avessi spinta a parlare Vera. Io non ricordo niente, ma ogni cazzo di pagina di quell'agenda degli ultimi mesi non fa altro che parlare di te, e tu invece...Per favore!»

«Senti adesso basta, non aggiungere un'altra parola su ciò che c'è stato tra di noi perché hai proprio ragione non sai un cazzo! Non ti permetterò di continuare a blaterare senza senso su qualcosa di cui non ricordi nulla, non puoi rovinare tutto quello che c'è stato. Tu non hai completamente idea di cosa voglia dire sentirsi guardata come se fossi un'estranea dalla persona che fino ad un paio di giorni prima con quegli occhi mi guardava dentro l'anima!»

Mi alzo velocemente assecondando i suoi movimenti, piazzandomi davanti a lei senza distogliere mai lo sguardo dal suo. Sono furiosa, so che tutto questo suo discorso è dettato da un senso di frustrazione che lei sicuramente non riesce a controllare in questo momento ma non ce la faccio a sentire altre cose simili.

«Ti chiedo solo di rispettare i miei sentimenti, io mi faccio paranoie da giorni e tu vieni qui a trattarmi così?!»
«E cosa pensi che io abbia fatto in questi giorni, sentiamo? Mi sono svegliata senza capire più nulla della mia vita e quando finalmente torno a casa scopro una cosa simile tramite un pezzo di carta. Come pensi che io mi possa sentire?»

Sospiro pesantemente mentre sento il suo ennesimo scatto di impulsività prendermi a schiaffi l'anima.

«Ѐ buffo sai? Solo qualche settimana fa avresti gioito nel sapermi fuori dalla tua vita. E adesso che non c'è più nulla che possa ostacolarci non ricordi niente di noi. Questo, questo è quello con cui combatto io da giorni. – le punto l'indice sul petto spostandola di un paio di centimetri. – Io mi sono fatta solo da parte momentaneamente perché sapevo quanto tu dovessi rimettere in sesto la tua vita.»

In questo momento comincio a non vederci più, non riesco più a stare dietro ai suoi discorsi sconnessi che pensano soltanto al suo di stato psicologico senza essersi mai presa la briga di cercare di capirmi. Me ne vado correndo via lasciandola lì su quella spiaggia, mentre raggiungo rapidamente casa.

Non posso credere che sia stata così stupida, così impulsiva e così fuori luogo. Le avrei davvero detto ogni cosa, anche se lei questo non poteva certo saperlo, ma non avrei mai buttato via quello che c'è stato tra noi solo perché le sono complicate più del dovuto.

Io volevo soltanto lasciarle il tempo di affrontare tutto quello che la vita le ha sottratto prima di pretendere che accettasse la mia presenza.

Il cielo in questo momento finalmente decide di prendere una posizione rispetto l'andamento della giornata, il sole sembra voler rintanarsi nel suo piccolo rifugio in fondo all'orizzonte mentre una scarica di pioggia inizia a tamburellare violentemente il suolo. Sta iniziando una vera e propria tempesta adesso, ed io per fortuna sono ad un paio di metri da casa.

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