(REVISIONATO)
Ira. Rabbia. Rabberciare, Quintessenza...Esistono molti modi per definire la parola rabbia. Ancora una volta, mi aveva voltato le sue aggraziate spalle.
"Vaffanculo" pensai. Avrei desiderato più di ogni cosa, che chiudesse quella fottuta bocca. Vidi mio fratello accoglierla tra le sue braccia e insieme, dirigersi in giardino.
Ero nero, offuscato con assoluta certezza dalla rabbia pura che si inerpicava nel sangue e in qualunque cellula del mio corpo. Ero attratto da lei. Aveva una potenza, un'attrazione su di me, che nemmeno oggi saprei affermare. Notai come il "mostro padre" mi scrutava severo e sull'attenti, pronto a rimproverarmi . Decisi di non pensarci e andai a sedermi.
Perché cazzo ero attratto da una ragazzina stupida come lei?!
Bevvi.
Perché mi sentivo bene provocarla e renderla vulnerabile con me?!
Bevvi.
Perché ero ancora lì?
La vista mi si offuscò leggermente e il senso della ragione era andato a farsi benedire. Riuscii a malapena ad alzarmi in piedi e notai che molte persone mi stavano guardando. Me ne fregai e andai in giardino.
Cercavo nell'oscurità di intravederli, intravedere la sua figura angelica. Ma quello che vedevo, era solo il buio denso. Il buio dentro di me. Il fuoco. La fottuta gelosia.
La baciava. La baciava intensamente, cingendole la sua perfetta vita. Le sue mani su di lei, le labbra sulle sue, erano un colpo duro. Ma mi irritò di più lei, che stava al gioco. Lo baciava, innamorata persa. Mi voltai. Non volevo vedere oltre.
Ah, fanculo! Io non mi comportavo così. Ritornai dentro e notai che la ragazza che mi aveva presentato Juliet, ballava con un Carrington. Mi diressi verso il mio patrigno, che mi guardava seriamente.
-Col cazzo, non rimango a questa festa. Me ne vado a casa-.
-Bada a come parli, ragazzino- mi avvisò il mostro. Gli voltai le spalle e lasciai la festa.Decisi sarei tornato a piedi alla Reggia. In fondo, non era così distante. Percorrevo le strade buie e pericolose di Londra, rendendomi conto che la mia vita cadeva sempre più in pezzi: il destino mi stava distruggendo. Notai dei signorotti uscire da una bottega. Sapevo che erano sbronzi.
D'altronde, lo ero anche io. Nonostante la vista offuscata e il mio gran mal di testa, scorsi una figura dietro di me. Correva. Era lei. Sembrava confusa, triste.
Bah, non me ne fregava un cazzo. Continuai a camminare, ignorando i suoi movimenti. Mi superò, ignara che fossi io. O probabilmente, sapeva che fossi io.
Accadde l'imprevedibile. L'orribile. Gli sbronzi della bottega le si fiondarono addosso, sbarrandole la strada. Notai che uno la provocò e un altro la sfiorava. Un uomo alto, corvino e magro, sulla ventina che sembrava il capo della banda, le palpò il culo. Jane scoppiò a piangere, gettandosi a terra.
Respiravo a fatica, il nervoso e la rabbia improvvisa, mi scorrevano nelle vene.
Non ci vidi più dalla rabbia e dalla tensione. Le corsi incontro, sapendo che comunque io ero contro una banda di circa 10 ragazzi. Mi misi in mezzo e urlai con tutta l'aria che avevo dentro.
-Che cazzo di problemi avete, razza di pervertiti! Fuori dai coglioni bastardi!-. Mi aspettavo che mi ridessero in faccia o che fecero a botte. Il capo sputò addosso a Jane, rise e se ne andò con gli altri. Ma che cavolo di problemi aveva?! Mi fiondai su di lei.
Aveva le ginocchia strabordanti di sangue per la caduta, qualche graffio sul braccio e un ematoma sul fianco destro. Piangeva come una fontana e non riusciva a fermarsi.
-Ragazzina, stai bene?- le chiesi gentilmente. Mi guardò e la sua disperazione mi trafisse. Non riuscì a formulare nulla, perché i singhiozzi le impedivano di parlare. Non ce l'avrebbe mai a fatta a camminare, considerando anche la sua stanchezza.La presi in braccio: le sue braccia accolsero la mia schiena e il collo, il suo sguardo era sul mio. Immobili, paralizzati. Mi scrutava con aria interrogativa e sapevo voleva decifrarmi, conoscere il mio vero me. Non l'avrei permesso. Con tutta la forza che avevo la riportai nel suo quartiere. A metà tragitto, mi accorsi che si addormentò. Mai avrei potuto pensare che la sua bellezza mi colpisse in quel modo. I suoi lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle, le sue labbra semichiuse la rendevano così tenera, quasi innocente. Le sue guance rosee risplendevano sotto la luce lunare, come anche il resto della sua pelle perfetta. Non si era mai staccata da me. Sembrava volesse tenermi stretto a sé, come un piccolo rifugio personale. La mia stanchezza cominciava a farsi sentire e le mie gambe tremavano.
Finalmente arrivati a casa sua, bussai il più forte che potevo. Le domestiche la presero con loro e mi ringraziarono di cuore.
Mi ripromisi che le sarei stato vicino nel momento del bisogno. Odiavo la sua maledetta influenza su di me. Il mio dovere da uomo era fatto. Ma il dovere del mio istinto?
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Romance[IN CORSO] *È presente linguaggio volgare* 1820 Jane Carrington, la più grande delle sue sorelle deve entrare in società nella stagione d'oro di Londra. È una donna determinata e forte, grazie anche alla morte del padre. Non ne vuole sapere della...