15. 31. 116dF - 11:11am

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Un respiro.

Nell'attimo in cui le sue orecchie colsero il faticoso scivolare del metallo, pari a un gracchiare sordo nel buio silenzio in cui era immersa, le parve di essere riaffiorata da una piscina dove aveva rischiato di annegare. I polmoni le fecero male nel loro improvviso dilatarsi e la testa fu subito leggera quanto un filo di fumo. Con ancora gli occhi chiusi iniziò a respirare piano, il cervello già lucido a ricordarle cosa stesse accadendo e il resto del corpo che si svegliava dal sonno a cui era stato costretto.

Mosse le dita, accogliendo pacifica la sensazione di essere punta da centinaia di aghi.

Contrasse i muscoli delle gambe, indolenziti dalla lunga immobilità e pronti a tornare a muoversi.

Arricciò il naso, lasciandosi sfuggire un sorriso davanti alla sensazione di essere viva.

Infine aprì gli occhi.

Nessuna luce, nessun volto ad accoglierla, nessun paio di braccia a sostenerla e dirle che , stava per iniziare qualcosa di nuovo e tanto atteso. Nulla, se non un buio ovattato e un profondo silenzio che non riuscì a comprendere, tanto che la confusione prese a montare dentro di lei. Con lentezza, un tendine alla volta, si alzò, abbandonando la carezza dell'acqua in cui era stata immersa per poggiare le piante nude dei piedi sulle piastrelle del pavimento; subito un brivido le corse lungo la spina dorsale, spingendola a stringersi le braccia attorno al petto nudo. Era sola.

"Ma come...?" pensò, girando su se stessa per osservare il luogo in cui si era svegliata. Nella fitta penombra riusciva a malapena a scorgere le sagome di altre capsule criogeniche, alcune ancora sigillate e altre spalancate, poste in verticale come a voler mostrare da cos'era composto l'interno. Con un nuovo tremito a rizzarle i peli delle braccia, si rese conto che c'era qualcosa di sbagliato.

"C'è... c'è qualcuno?" si ritrovò a sussurrare, con la voce roca e le corde vocali a lanciare dolorose fitte al suo sistema nervoso. Con uno scatto della testa tornò a guardare l'involucro metallico da cui era appena fuggita, chiedendosi se l'acqua all'interno sarebbe stata in grado di placare la sete che le bruciava la gola, ma abbandonò il proposito in modo altrettanto rapido; il miscuglio chimico in cui era stata congelata non era di certo potabile.

Inspirò piano, cercando di non farsi artigliare dal panico, e mosse qualche timido passo verso una delle capsule verticali; quando ci si ritrovò davanti lo sguardo le cadde sulla targhetta antistante, sulla quale era stata vergata una scritta che le mozzò il fiato e ridusse le gambe a un tremito.

Capsula criogenica statunitense (Terra) – 911pF

Nonostante il buio, Lydia sentì la vista appannarsi e un capogiro improvviso la costrinse ad appoggiarsi alla bara davanti a lei. La sua azione, però, si tradusse in uno schianto di quest'ultima, e il rumore che squarciò il silenzio fu capace di farle più male dello scivolare sul pavimento assieme al macchinario.

"L'hanno svuotata" si ritrovò a pensare, le orecchie che le fischiavano e le gambe, ingarbugliate con l'asta della targa, su cui esplosero nuovi dolori. "Non c'è più niente."

Si alzò facendo leva sulle braccia, il panico ora impossibile da contenere. Doveva uscire da quel luogo, capire cosa fosse successo, ritrovare gli altri, abbracciare Cosme e farsi dire che stava andando tutto bene, che ciò che si era trovata davanti agli occhi al momento del risveglio era solo il brutto frutto della nebbia che gravava ancora sulla sua mente, un crudele scherzo che molti altri avevano dovuto combattere. Avrebbe accolto qualsiasi giustificazione o scusa.

Barcollando, si diresse verso una delle porte della sala, il panico che la rendeva sorda e cieca a qualsiasi altro stimolo. Nel tentativo di aprirla con una spinta andò a impattarci contro e un tonfo tornò a scuotere l'aria; si lasciò cadere ancora una volta a terra, stupita del fatto che fosse chiusa. Era in trappola.

Gli esuli delle stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora