05. 02. 117dF - 09:00am

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Lydia non aveva amato più di tanto i suoi genitori.

Una parte di lei si sentiva una figlia orribile quando inciampava in un simile pensiero, ma col passare del tempo aveva stabilito di non poter mentire a se stessa anche su ciò, tanto che aveva finito per accettare quella verità sfruttabile a suo favore. Certe volte, quando aveva avuto bisogno di aiuto, era tornata a casa, si era lasciata sfuggire un paio di parole dolci e, ottenuto ciò di cui necessitava, li aveva abbandonati di nuovo; sensi di colpa avevano sempre fatto da padroni per i giorni successivi, costringendola a cercare di ricostruire un piccolo ponte tra il passato e il presente, ma non si era mai pentita. Non che i genitori fossero stati orribili, o troppo severi con lei, o altro ancora; solo, dopo aver incontrato Cosme si era resa conto di non appartenere al loro mondo. Nonostante ciò, però, conservava ancora in sé lontani e dolci ricordi d'infanzia – sua madre che le dava da mangiare del gelato, le lunghe partite a nascondino giocate nell'appartamento del livello sette –, uniti a qualche piccolo insegnamento da classe elevata che sperava potesse tornarle utile durante il confronto col sindaco. In fondo, sotto l'aria affabile e i mille sorrisi, anche lui era un uomo di potere come tutti quelli con cui aveva già avuto a che fare, suo padre in prima linea.

Dopo essere tornata in università, aveva quindi provato a parlarne con Zack, ma l'altro aveva scosso la testa, fermandola. "Farò solo da supporto morale: non penso sarei mai capace di parlare a Worley senza balbettare" le aveva detto, passandosi una mano tra i capelli in un gesto imbarazzato.

"Va bene."

Si era messa in punta di piedi e gli aveva cinto il collo, avvicinandosi a lui com'era accaduto prima, ma Zack l'aveva allontanata con delicatezza e, senza rivolgerle alcuna parola, se n'era andato.

"Ma ora è qui" pensò, indecisa se afferragli la mano. L'altro, però, non le diede modo di scegliere cosa fare, dirigendosi invece ad aprire la porta dell'edificio. Lei lo seguì lungo il corridoio e la rampa di scale che aveva percorso col segretario mesi prima, coperta da una corazza di dura decisione che le impediva di tremare o apparire spaventata; non doveva mostrarsi debole, nonostante nella testa le ronzasse ormai da una settimana il pensiero che procedere con un incontro forzato non fosse la migliore delle idee. Eppure, per andare avanti aveva bisogno di mettere un punto fermo.

Fece per entrare nell'ufficio, la mano salda sul pomello, quando una voce a lei nota la costrinse a fermarsi.

"Ma lei cosa ci fa qui?"

Lydia si girò verso il segretario, immobile a osservarla con un fascio di documenti in mano, gli occhi socchiusi e la bocca piegata in una linea dura. "Non dovrebbe essere qui" aggiunse, per poi spostare lo sguardo su Zack, immobile e col volto puntato verso il basso. "Né lui, chiunque esso sia."

"Abbiamo bisogno di parlare col signor Worley" replicò Lydia. Senza ascoltare alcuna replica, aprì la porta dell'ufficio che, però, si rivelò vuoto. "Ma..." bisbigliò, ferma sulla soglia.

"Al momento non c'è" disse Gareth, insinuandosi nella stanza per posare i fogli sulla scrivania. Lydia lo vide arricciare il naso e, dopo un attimo di esitazione, raggiungere la finestra e spalancarla, lasciando che la fresca aria primaverile riempisse l'ambiente.

"Approfittate del fatto di esservi resi ridicoli solo a me e andatevene" continuò intanto l'uomo, squadrando entrambi. "Non so cosa abbiate in mente, ma il sindaco ha questioni più urgenti a cui badare."

"Dovrebbe decidere lui quali sono quelle urgenti" replicò Lydia, raggiungendo il segretario in poche falcate. Lo osservò con le mani puntate sui fianchi e, poi, si accomodò sulla sedia posta davanti alla scrivania con un sorriso, togliendosi il giubbotto e accavallando le gambe. "Se non è un problema, noi lo aspetteremmo" aggiunse, facendo segno a Zack di avvicinarsi. Lui, sempre tenendo lo sguardo basso, andò a posizionarsi vicino a lei.

Gli esuli delle stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora