04. 27. 2451 - 07:29pm

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Buttato sul divano, con gli occhi chiusi e la bocca piegata in una smorfia estatica, Roy dormiva.
Nessun sogno lo turbava, nessun ricordo lontano o presente: era stato accolto tra le braccia di un buio confortante, vuoto. Solo qualche nota luminosa, di tanto in tanto, faceva capolino tra i suoi pensieri, portandolo a sorridere nel sonno quando si univa alle sue compagne nella creazione di nuove melodie.

Lentamente, irrompendo con delicatezza in mezzo a tutte le battute, si delineò nel nulla assoluto un pianoforte a coda, nero e lucido, illuminato grazie a una luce blu al neon proveniente da chissà dove. Richiamato da una simile visione, Roy si alzò dal divano e, dopo aver camminato sul pavimento scuro, quasi liquido, dei suoi sogni, si andò a sedere sullo sgabello imbottito posto vicino al piano, osservando ogni particolare di quello strumento così diverso dal suo: i tasti bianchissimi, senza un velo di polvere sopra, i pedali in metallo lucido e il legno della cassa ancora compatto lo rendevano così distante dal pianoforte a muro tarlato che rimaneva nascosto tra le ombre del suo salotto altrettanto trasandato. Col fiato sospeso, appoggiò il suo pollice destro su un do, facendo rimbombare la nota nel silenzio che regnava attorno a lui.

Roy schiuse le labbra in un sorriso e, rapito dall'incanto dell'attimo, decise di catturare tutte le note, ora silenti, che ancora lo circondavano e iniziare a comporre: si sentiva libero, lontano da quel mondo che non poteva capirlo, che non voleva capirlo.

"Perché non riescono a vedere tutta questa bellezza?" si chiese, guardando affascinato come le sue dita pallide scorrevano leggere tra note sconosciute e mai accostate.

Non avrebbe dovuto pensarlo.

Un'improvvisa serie di ricordi lo travolse, facendogli tremare le mani. Provò a farsi trasportare dalla musica nel vano sforzo di scacciare la terribile onda che l'aveva sommerso: più tentava di soffocarlo in un abbraccio torbido e oscuro, più lui suonava con maggiore intensità, issando fragili barriere invisibili.

"Andate via! Andate via tutti!"

Rivide Cosme che urlava quanto lui e la sua musica fossero inutili, Lydia che lo guardava con compassione, i suoi grandi occhi grigi della stessa intensità di una stilettata in pieno petto, e Lucas che gli ringhiava contro tutto il suo disprezzo, portandolo a tremare. Le dita gli facevano male tanta era la forza che metteva nel suonare pur di scacciare via tutto quel dolore.

Tutt'un tratto gli tornarono in mente, così potenti da spezzargli il respiro, le ultime parole che gli aveva rivolto sua madre, la sera prima che sparisse. Stavano mangiando una brodaglia insapore in cui galleggiavano pezzetti di pane a tal punto duri da non riuscire ad ammorbidirsi, qualche cavalletta spappolata e delle strane verdure sintetiche dal colore giallastro; se chiudeva gli occhi, il cervello gli riproponeva sul palato lo stesso sapore umido e viscido, con una punta d'amaro che lo portava ad arricciare la lingua.

"Noi non esistiamo nemmeno" aveva biascicato lei all'improvviso, con la voce incrinata dopo mesi di pianto ininterrotto. "Siamo già tutti morti."

Roy era rimasto immobile, col cucchiaio sospeso a pochi centimetri dalle labbra, e aveva alzato gli occhi verso la donna seduta davanti a lui, incapace di processare la frase appena pronunciata. Lei aveva ricambiato il suo sguardo con uno altrettanto stralunato, gli occhi di un azzurro slavato persi nel vuoto, e aveva aperto la bocca in una smorfia, digrignando i denti giallastri. "Tutti morti."

Il ragazzo aveva cercato di non far caso alle sue parole e aveva ripreso a mangiare; ormai erano settimane che la donna borbottava frasi sconnesse, troppo impazzita dal dolore anche solo per rendersi conto di essere ancora viva. Poi si era alzato da tavola e aveva riassettato la cucina, cercando di non rabbrividire nel sentire lo sguardo dell'altra seguirlo in ogni suo piccolo movimento.

Gli esuli delle stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora