08. 15. 3362 - 11:02am

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Cosme.

Cinque lettere che riassumevamo in sé un'identità che mai avrebbe pensato fosse così difficile da recuperare.

Quando aveva preso di nuovo conoscenza, steso sul letto in una stanza dalle pareti di un bianco asettico, con una flebo infilata nel suo braccio e il ronzare di una macchina che misurava i battiti cardiaci come uniche compagne, la sua mente aveva faticato a connettere tutti i ricordi che volteggiavano come falene tra i suoi pensieri. Nella solitudine completa in cui era immerso aveva iniziato pian piano, quasi con un timore reverenziale, a riflettere sui frammenti rimastigli; aveva creato ponti, legami, rivissuto a fatica attimi della sua vita che, come si era reso conto con orrore nelle ore successive, mai avrebbe voluto ricordare, tutto solo per tornare a essere se stesso. Il momento peggiore, in cui aveva sentito il suo cuore cedere sotto un peso impossibile da sostenere, era stato il rendersi conto che il primo volto che la sua coscienza spezzata aveva recuperato era stato quello di Roy. Si era ritrovato a piangere in silenzio, e le lacrime erano scivolate tra le rughe e si erano infilate tra le labbra socchiuse e i fili di barba incolta.

E non era stato catartico, non lo era stato affatto.

Aveva sperato che ricordare l'avrebbe fatto guarire dal dolore sconosciuto. Durante il processo di riassestamento, talmente lungo da aver occupato uno spazio di tempo non quantificabile, si era reso conto che un simile peso non se ne sarebbe mai andato via, anche se c'era una speranza per provare a tornare quasi del tutto integro. Un lumino che portava il nome di Lydia, il cui volto l'aveva aiutato a sfuggire dalla morsa della capsula criogenica; la ragazza aveva ancora tanto da imparare e da dare.

Quindi aveva atteso, sforzandosi di placare i morsi della fame che gli avevano afferrato lo stomaco e gli avevano provocato un senso di nausea profondo, lo stesso che lo spingeva a bere di continuo nel tentativo di placare il doloroso attorcigliarsi. I pionieri – o forse avrebbe dovuto chiamarli i suoi concittadini? – gli avevano infatti lasciato solo una bottiglietta sul comodino posto vicino al letto, senza nessun altro segno di vita a confortarlo. Per qualche minuto Cosme era arrivato a pensare che, se non fosse stato per la voce distorta e sconosciuta che ancora aleggiava tra i suoi pensieri, si sarebbe convinto che tutta la sua vita fosse stata solo il frutto di un terribile sogno da cui si sarebbe presto svegliato.

"E invece..." pensò, lasciandosi sfuggire una smorfia davanti a un nuovo crampo.

Non fece in tempo a lamentarsi a mezza voce che, all'improvviso, la porta della stanza si spalancò, lasciandogli scorgere la figura di una donna. La prima cosa che lo colpì, lasciandolo senza parole, fu il portamento con cui si avvicinò a lui: senza tentennare, affrontò i pochi metri che li separavano accompagnata da un ticchettio di tacchi e con una camminata che aveva un qualcosa di ondulate e morbido, nonostante il corpo minuto e secco. Lo soprese quel dettaglio, uno capace di fare impazzire gli uomini.

Gli bastò però portare il suo sguardo sul volto senza età della sconosciuta per rimanere impietrito. Gli occhi che incrociò, neri, dal taglio orientale e sottolineati da rade e corte ciglia, lo perforarono da parte a parte, facendolo sentire così nudo e senza alcuna protezione da fargli temere di essere arrossito come uno scolaretto di primo pelo. La voce fu la stoccata finale.

"Buongiorno."

Bastò quella parola per fargli capire di aver davanti la stessa persona che l'aveva accolto nel nuovo mondo.

"Buongiorno" rispose di rimando, accomodandosi meglio sul letto in modo tale da mettersi eretto. "È un piacere veder finalmente comparire un volto, anche se non so quanto possa essermi amico."

La donna si aprì in un sorriso così carico di dolcezza da stupirlo, portandolo a mordersi la lingua per le parole appena dette. Avventato, la fame e la stanchezza l'avevano reso avventato.

Gli esuli delle stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora