05. 01. 2451 - 03:21pm

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Roy non amava definirsi orgoglioso.

Nonostante alcuni considerassero quell'inclinazione dell'animo una qualità, lui la riteneva soprattutto un difetto, pari a una barriera dietro cui l'essere umano amava trincerarsi ogni qualvolta il torto diventava troppo pensante da sopportare. Ne aveva incontrate tante di persone simili, soprattutto ragazze appartenenti ai livelli più alti; queste, spesso, gli avevano sputato addosso tutto il loro disprezzo nel momento in cui avevano compreso che, per lui, valevano ben poco, rendendosi ridicole o diventando fin troppo aggressive. Ogni schiaffo ricevuto, nonostante il bruciore, gli aveva confermato che l'orgoglio non rientrava tra i difetti che lo marchiavano.

Eppure, nonostante le sue convinzioni più intime, non poteva negare di aver impiegato fin troppo tempo per convincersi a tornare al quartier generale. Prima della telefonata di Cosme, in fondo, era stato proprio l'orgoglio ferito a costringerlo nel suo appartamento, dove aveva potuto sfogarsi componendo e suonando come mai gli era capitato; dopo quel giorno, però, non era più riuscito a concentrarsi, tanto che le note gli sfuggivano dalle dita ogni volta che i pensieri accarezzavano le parole con cui il vecchio pareva essersi congedato per sempre da lui.

"Sei mio figlio."

Come poteva ignorarle? Cosme era stato per lui come un padre, l'aveva allevato e reso ciò che era, aiutandolo a sopravvivere più di una volta nel mondo ostile in cui si era ritrovato a lottare da solo. Assieme a Lydia e Matt, il vecchio aveva ricomposto una famiglia ormai perduta che, tra un lutto e una fuga, aveva scavato nel suo cuore una fossa da bara più profonda di quanto avrebbe mai creduto possibile; senza di loro non si sarebbe mai più sentito completo, diventando un piccolo e vuoto frammento nell'oceano di anime in pena che vivevano sulla Terra. Non voleva sprecare altro tempo, non voleva perdere anche Cosme e Lydia.

Era stato un simile pensiero a convincerlo a uscire di casa per andare a cercarli, così da poter dire loro tutto, senza alcun filtro. Aveva raggiunto la periferia del livello uno di corsa, con un mix di emozioni che gli premeva in petto – ansia, paura, eccitazione, gioia, speranza – e gli impediva di sentire la stanchezza, i muscoli che sembravano nati solo per coprire tale distanza nel più breve tempo possibile; aveva fatto i gradini della baracca a due a due, per nulla preoccupato di far troppo rumore, e aveva spalancato la porta d'ingresso con un impeto, pronto a raggiungere Cosme e Lydia per confrontarsi con loro. Ciò che l'aveva accolto, però, era stato un profondo silenzio, gelido come gli spifferi che scivolavano attraverso le imposte rotte delle finestre.

"Sono stato troppo lento."

Seduto sul divano giallo sfondato che l'aveva accolto nel suo abbraccio già altre volte, riusciva a fare solo quella considerazione. Gli bastò lanciare un'occhiata alla desolazione che riempiva la stanza, dove la sua unica compagna era una sedia di plastica e qualche foglio accartocciato buttato per terra, perché un altro pensiero lo colpisse come una freccia, facendogli venire le vertigini. "Ho perso anche loro."

E non poteva far nulla. Sapeva fin troppo bene che non si sarebbero fatti trovare, a meno di volerlo; l'unica speranza era che Lydia e Cosme gli permettessero di mettere piede nei loro appartamenti, terreni per nulla neutrali in cui il rischio di farsi scappare altre parole non necessarie e sbagliate era fin troppo alto per i suoi gusti. Eppure, non sarebbe mai più riuscito a dormire sonni tranquilli senza aver fatto almeno un ultimo tentativo; meglio scoprire che i legami su cui era cresciuto e maturato si erano ormai spezzati al posto di vivere per il resto della sua vita nel dubbio.

Roy fece per alzarsi, il ticchettio della pioggia appena iniziata a cadere che riempiva il terribile silenzio morto del luogo, quando un improvviso tonfo lo congelò sul posto e gli fece schizzare il cuore in gola, in grado di premere come un martello sulle corde vocali. Rimase in silenzio, incapace addirittura di respirare, mentre il rumore dei passi si faceva più insistente, avvicinandosi pesante verso la stanza.

"Ti prego... fa che non siano loro" pensò, mentre tutto il corpo tremava davanti alla possibilità che, oltre il muro che lo separava dal corridoio, si trovasse un androide. "Per favore, chiunque tranne loro."

Non sapeva neanche a chi si stesse rivolgendo – Dio era solo una mera illusione usata dalle masse per cercare una consolazione la notte –, ma non poteva far altro che pregare e aspettare in silenzio. Anche i passi si erano zittiti, come se l'essere che li produceva si fosse fermato, indeciso se proseguire o meno.

Quasi urlò quando la porta della stanza si spalancò di colpo, rivelando che la figura tanto temuta non era altro che quella di Lucas con una spranga di ferro sollevata sopra la sua testa, pronta a calare su di lui per colpirlo.

"Cosa ci fai qui?" domandò l'uomo con gli occhi spalancati dalla sorpresa, abbassando l'arma con un gesto secco. "Eh? Cosa stavi cercando?"

Roy deglutì, la gola secca, e provò a balbettare qualcosa; le parole, però, si arrotolarono sulla sua lingua, facendolo apparire come un bambino colpevole di aver compiuto chissà quale marachella.

Lucas lo incalzò, avvicinandosi con fare minaccioso. "Allora?" Lo tirò in piedi con uno strattone, costringendolo a guardarlo negli occhi.

"Cer... cercavo..." rantolò lui, ancora troppo stupito e spaventato per recuperare un minimo del contegno perso. "Cercavo Cosme, devo parlargli. E anche Lydia."

Lucas lo squadrò in silenzio con gli occhi socchiusi, stringendo le labbra carnose in una linea dura che non prometteva nulla di buono. Alla fine sospirò e gli diede la schiena, così da dirigersi verso la porta; il tossicchiare nervoso di Roy lo costrinse a fermarsi e a girarsi di nuovo verso di lui per lanciargli un muto "Cosa vuoi?" col solo sguardo.

"Dimmi solo dove posso trovarli" disse Roy, con la voce che suonò molto più decisa di quanto si sentisse lui al momento, visto quando l'anima tremava davanti all'uomo.

"Certo, è chiaro che tu voglia saperlo." Lucas scrollò le spalle davanti a quell'ovvietà. "Ma io non ho alcuna intenzione di dirtelo."

"Ma..."

"Niente ma" continuò l'altro con un sibilo, puntandogli il dito contro. "Dopo ciò che hai fatto, non meriti di parlar con loro." Lo guardò con un tale disprezzo da farlo vacillare. "Soprattutto con Lydia."

"Penso siano loro a dover decidere se parlar con me o meno, non tu" disse Roy, recuperando nuove briciole di coraggio, capaci di spingerlo ad avanzare verso Lucas di un passo. Non poteva negargli un'ultima speranza, non poteva non possedere almeno una scintilla di umanità. "Non puoi pensare che..."

L'uomo colmò la distanza che li separava e gli afferrò il colletto dell'impermeabile con la mano destra, alzando di nuovo il tubo di ferro con l'altra. "No" disse, con gli occhi che fiammeggiavano e la cicatrice che serpeggiava sul suo volto contratto in una smorfia irata, bestiale. "Non ti vogliono vedere, non vogliono più aver nulla a che fare con te."

Alzò l'arma verso di lui, pronto a colpirlo. Roy chiuse gli occhi incassando la testa nel collo, in un impossibile tentativo di scostarsi dall'attacco che stava per calare, ma la sbarra si fermò a pochi millimetri dal cuoio capelluto; solo quando la sentì cadere sul pavimento con un tonfo metallico si costrinse a riaprire le palpebre, mentre Lucas l'aveva lasciato andare e si stava di nuovo dirigendo verso la porta. "Prendilo come un avvertimento" aggiunse, fermandosi sull'uscio. "Loro non vogliono aver niente a che fare con te e io non ho alcun problema ad aiutarli a raggiungere il loro scopo. Anche in modi che potrebbero non apprezzare."

Detto questo uscì. I passi dell'uomo rimbombarono tra le pareti del palazzo vuoto, andando pian piano a confondersi col picchiettare della pioggia sull'asfalto, sui vetri, sul metallo, su lui stesso che voleva solo urlare o prendere a calci tutto ciò che lo circondava, così da sfogare la collera montatagli in corpo, soffocandolo in un'onda rossa.

Raccolse con uno scatto la sbarra e la lanciò contro il muro con un grido, per poi afferrare la sedia di plastica azzurra sbiadita e voltarsi verso la finestra. Voleva spaccare il vetro, sentire il rumore di qualcosa che si spezzava, si distruggeva, moriva sotto il suo tocco, ma le mani lo tradirono con un improvviso e forte tremore. La lasciò cadere per terra con un altro urlo e iniziò a inspirare piano, la rabbia che pian piano scemava e lasciava posto a una tristezza sorda, capace di stringergli la gola con nuove lacrime che non voleva far uscire. Non doveva piangere ancora.

Il pensiero che ormai era tutto finito, però, distrusse ogni diga.

Gli esuli delle stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora