chapter fiteen.

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MEGAN WALKER VOICE:

Mi ero resa conto che la mia vita non sarebbe stata mai più la stessa e, per quanto mi sforzassi di fingere che andava tutto a meraviglia, dentro di me sapevo perfettamente che il meglio era passato. Sapevo che il tempo a venire avrei dovuto impiegarlo a far credere agli altri che stavo benissimo, per non farli preoccupare troppo e rischiare che si sentissero in obbligo di darmi una mano. La vecchia me era stata uccisa il giorno in cui era morto mio padre,ero un essere nuovo. Non avevo più pensieri di vendetta o di paura, solo dolore che mi scorreva nelle vene come veleno. Non avevo più  bisogno della gente e delle loro parole di conforto o delle loro critiche e non avevo più bisogno di nessun aiuto. Eravamo persone normali, io non sapevo da che parte andare, forse avrei dovuto prenderla con leggerezza. La mia vita non era un film, non aveva una conclusione da favola, tutto diventava sempre più confuso ogni giorno. Forse avrei imparato vivendo,forse schianteremo e bruceremo,forse lui sceglierà di  restare, forse se ne andrà e

forse tornerà, forse ci sarà un altro litigio,forse non sopravviveremo,ma forse cresceremo,non lo potremo mai sapere se non proviamo.

Dopo un bagno rilassante decisi di starmene un po per conto mio. Mi sedetti in riva la piscina di Gabriella, immersi i piedi in acqua e lasciai che la mia testa vagasse tra i mille pensieri.   L'acqua era  fredda, rifletteva i colori del cielo durante il tramonto. Indescrivibile. Un silenzio interrotto solo dal rumore degli uccelli, delle piante e dall'acqua che muovevo con i piedi. Solo dal dolce eco dei gabbiani che volteggiano nel cielo. Solo il fruscio della brezza che mi sfiorava le orecchie, i capelli, gli occhi. Il profumo del nettare  mi penetrava nei polmoni e mi faceva sentire viva. Il sole stava tramontando e i colori passavano dall’arancione al rosa antico, e infine al blu scuro. Colori che cedono posto ad altri per fare spazio alla luna che fa capolino. Tutto questo sulla linea dell’orizzonte, in quel punto dove il cielo abbraccia il mare di San Carlos. Era un posto magico.

Ad un tratto, in preda al dolore, compresi che la vita appartiene solo a me stessa e che nessun altro ha il diritto di distruggerla. E allora, eccolo il cambiamento. Eccolo. Dovevo smetterla di piangermi addosso, che tanto indietro non si torna. Mi dovevo concentrare su quello che avevo, sulle cose belle. La vita è un battito di ali ed è giusto godersela a pieno. La vita sembra infinita ma non lo è. Stiamo tutti tentando di farcela, in una maniera o nell’altra, tentando di trovare l’amore, tentando di trovare il sesso, tentando di trovare un po’ di pace e un po’ di senso prima di gettare la spugna. Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprò neanche io come ho fatto ad attraversarla e a uscirne viva. Anzi, non sarò neanche sicura se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che io, uscita da quel vento, non sarò la stessa.

Era ora di cena, così io mi avviai in casa. Era la prima volta che passavo del tempo con Gabriella, era la prima volta da quando era entrata nella mia vita che avevo la possibilità di vivere nella sua quotidianità. Arrivata in salotto, erano già tutti seduti a tavola, mi accomodai senza dire nulla. Vidi per la prima volta il figlio di Madrina, mi fissava curioso e sua madre a sua volta fissava lui. Era un bel ragazzo, capelli neri e ricci, occhi olivastri, barba. Aveva il suo fascino. Ci fu servita la cena e Gabriella cominciò a fare domande al figlio: su come stava, come procedevano gli esami, come era il tempo a Parigi. Il figlio rispondeva quasi come se fosse obbligato, era molto restio nei confronti della madre. Grace durante la cena mi guardava e cercava di comunicarmi qualcosa attraverso gli occhi. La conoscevo meglio di tutti. Voleva sicuramente farmi notare la bellezza latina del ragazzo.

"Io sono molto stanca, credo che andrò a dormire." Madrina si alzò dalla sua sedia.

"Domani continueremo a parlare" mi avvisò.

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