Chapter seventeen.

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JUSTIN BIEBER VOICE:

Aprii gli occhi appena il sole fu alto. Megan ancora dormiva, io mi alzai e andai in bagno, ero completamente nudo, appoggiato al lavandino davanti allo specchio, nel quale scrutavo ogni mio centimetro, alla ricerca di chissà che.  Ai bordi dei miei pettorali, poco sopra i capezzoli, avevo i graffi, perfettamente simmetrici, che mi aveva fatto Megan mentre stava sopra di me. Erano di un rosso scuro, talmente perfetti da sembrare tatuati, scolpiti nella mia carne. Nonostante mi fossi tirato indietro in un primo momento, durante la notte mi era venuta una matta voglia di fare l'amore con lei. Avevo pensato molto ed ero giunto alla conclusione che se stavo con lei era perché l'amavo e lei amava me, non c'erano secondi fini. Quindi avrei messo da parte le paranoie per un bel po.

Presi una delle lamette di Megan e cominciai a radermi la barba, cresciuta nei giorni peggiori della mia vita. Via, volevo darci un taglio, dimenticare, cancellare, archiviare. E, vedere l’acqua che, scorrendo, trascinava via con se la mia peluria, beh, era per me quasi un rito propiziatorio di un periodo di ritrovata serenità. Una volta rasato, riempii la vasca, nella quale mi rilassai per oltre un’ora. L'odore degli oli e delle essenze mi erano penetrati nella pelle e, le mille bolle dell’idromassaggio, avevano finalmente sciolto ogni mio muscolo,ero disteso, rilassato. Dopo tutto quello che era successo, beh, mi ci voleva proprio. Mi ero addormentato quando sentii le morbide mani di Megan entrare nella vasca ed accarezzare le mie parti intime, aprii gli occhi e la guardai ma lei, appoggiando delicatamente le sue dita sulle mie palpebre, me li richiuse.

Quella notte l’avevamo fatto quattro volte, ero distrutto, ma era bastato che lei mi sfiorasse con le sue mani da fata per far sì che mi eccitassi come un ragazzino alla sua prima volta. Entrò con i piedi nella vasca, era sopra di me, bellissima, statuaria, che mi guardava e si toccava, prima i seni, poi, dopo essersi passata le dita tra le lebbra, fece scorrere la sua mano fino alla sua intimità, completamente glabra, di cui potevo sentire l’odore a chilometri di distanza. Ero inebriato, la fissai negli occhi e lei capì immediatamente, si sedette sopra di me, lasciandosi andare in quei suoi gemiti di piacere che mi facevano letteralmente andare fuori di testa. Nei nostri occhi la luce si era finalmente riaccesa, Megan, la mia Megan era tornata, in tutto il suo splendore. Si distese accanto a me, si divertiva a giocare con l'acqua. Sembrava serena.

"Stamattina partiamo" dissi.

"Dove andiamo?" rise incredula.

"Da mio padre, ho voglia di rimettere in ordine la mia vita" spiegai.

"È fantastico, ma io non posso venire" disse abbassando lo sguardo.

"Perché non puoi?" domandai stizzito.

"Devo sistemare alcune cose, devo farlo per noi" spiegò.

"Ovviamente io non posso sapere di cosa si tratta" avevo subito perso la mia tranquillità.

Mi alzai dalla vasca e uscii bagnando tutto il pavimento. Presi un accappatoio e lo indossai per poi andare nell'altra stanza. Mi sedetti sul letto e fissai un punto fisso. Doveva smetterla di essere così misteriosa, io facevo parte della sua vita e non poteva nascondermi l'altra metà di lei e della sua esistenza. Quella situazione mi faceva imbestialire, io avevo il diritto di sapere cosa stesse succedendo. Anche solo per aiutarla, darle conforto. Ma lei no, piazzava un muro in varcabile a cui nessuno veniva data la possibilità di entrare. Doveva dirmi quali erano le cose che doveva sistemare per noi due, era il minimo che potesse fare, dopo tutto quello che era successo e, ero convinto, che essere un po’ più sincera con il suo ragazzo le avrebbe fatto bene all'anima, dato che non faceva altro che mentirmi.

La vidi entrare in camera da letto, a passo lento si avvicinò al letto, per poi sedersi accanto a me. Sapeva bene che ero arrabbiato e non mi importava se passavo per il bambino egocentrico della situazione. Ma perché doveva rovinarmi la vita in questo modo? Perché? Non perdevo mai la pazienza, ma quando faceva così era in grado di tirare fuori il peggio di me! Sì, era proprio così, come se, dentro di me, la mia anima, fosse stata divisa da un solco che la divideva tra questi due sentimenti, che si erano intrecciati indissolubilmente l’uno con l’altro, avvinghiandosi con forza ad ogni mia cellula, ad ogni mio singolo neurone, infettandoli irrimediabilmente con il suo terribile morbo. La cosa incredibile era che, inconsciamente, cominciavo a capire che, quello di Megan, era un gioco crudele e perverso, una tattica studiata a tavolino per rendermi, ogni giorno che passava, sempre più sottomesso. Ma io non volevo accettare la realtà, non volevo prenderne atto. Purtroppo lei era troppo importante per me.

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