Chapter three.

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MEGAN WALKER VOICE:

Quei ragazzi erano uno più strano dell'altro. Più pensavo a loro e più non capivo cosa Gabriella, questo era il vero nome di Madrina, volesse da loro. Per loro contavano solo le piantagioni di marijuana, i soldi che guadagnavano e fare sesso con le puttanelle di passaggio che rimorchiavano in giro. Doug tra tutti sembrava quello più normale, era dolce, gentile e restava sempre calmo, parlava sempre con quel tono di voce basso che ti faceva rilassare. I suoi capelli erano biondi leggermente cresciuti, la sua pelle era bianca, piercing sul naso e alle orecchie, alto, non troppo muscoloso. La sua compagnia era molto confortevole, lui era uno che dalla vita si era preso tutto, era un intellettuale e aveva girato il mondo, ogni volta che apriva bocca finiva per raccontarti una delle sue avventure; ogni volta io rimanevo estasiata. Punk invece era un ragazzo molto estroverso, molto trasgressivo. I suoi genitori erano degli amanti della musica, suo padre era il chitarrista di una band poco famosa e sua madre gli faceva da groupie seguendolo per il mondo. Da li deriva il suo nome molto diverso. Nonostante vedesse poco i suoi genitori, con loro aveva un buon rapporto. Esteticamente era un bel ragazzo, era mulatto e da sua madre che era una bianca, aveva ereditato gli occhi azzurri. Si era tinto i capelli di biondo ossigenato, stavano bene con il suo corpo muscoloso ricoperto da tatuaggi. Lui non era estremamente dolce, se ne stava molto sulle sue, comunicava molto con i sorrisi e con gli occhi, io riuscivo a capirlo al volo. Liam invece sembrava uno di quei bambinoni cresciuti troppo in fretta. Era molto dolce e divertente,ma spesso riusciva a finire sul volgare, lui nella sua giornata parlava solo e sempre di sesso o della tizia che aveva rimorchiato la notte prima. Anche lui, come Punk, era di carnagione mulatta, forse più scuro. Tra gli ultimi, rimaneva Justin, quello che sembrava essere il capo di tutto e tutti. Anche se esteticamente era più che apprezzabile, di una bellezza quasi angelica, di carattere era il diavolo reincarnato. Era sempre scorbutico, arrabbiato e con quella vena di ironia che faceva saltare i nervi pure alla persona più calma del mondo. Anche se non gli davo corda, lui trovava sempre il modo di attirare la mia attenzione; litigavamo quasi sempre e grazie a Doug mi ero scampata parecchi ceffoni. Justin era troppo violento, lui metteva le mani al primo posto, credendo di risolvere tutto. Era spietato, senz'anima, era una persona terribilmente vuota e persa. Lui era morto dentro, era senza speranza.

Soggiornavo a casa loro da più di trenta giorni, dal momento in cui avevo messo piede in quella casa, non ero più uscita. Ero come raperonzolo rinchiusa nella sua torre. Nonostante il bellissimo mare su cui affacciava la casa, io ero costretta a restare dentro. I ragazzi dicevano che era meglio che le persone non sapessero di me. Non ne capivo il motivo. Loro erano fuori gran parte del giorno e io restavo li a pulire,cucinare,stirare e lavare. Mi trattavano come se fossi la loro serva, come se nella vita non avessi già servito abbastanza. Non avevo avuto notizie di Madrina, fino a che un giorno mentre ero da sola a casa, bussarono alla porta e poi scapparono. Sullo zerbino una busta contenente un cellulare e un biglietto. Il telefono era un modo per comunicare solo e solamente con lei. Lo tenevo ben nascosto nella mia nuova camera. Ogni tanto Madrina mi inviava messaggi per sapere come procedessero le cose e puntualmente io non sapevo come rispondere, dato che non sapevo cosa dovesse procedere. Io li non facevo altro che essere la loro serva, nulla di più.

Un giorno mi arrivò un messaggio in cui Madrina diceva di volermi parlare, mi aveva dato un appuntamento a pochi isolati dalla casa in cui soggiornavo. Aspettai che tutti fossero usciti, loro non dovevano sapere. Mi vestii e di soppiatto uscii di casa, era buio e loro non sarebbero tornati prima dell'alba, completamente ubriachi e con qualche ragazza nuova. Percorsi gli isolati stabiliti fino a che non vidi la limousine di Madrina. Salii in auto e lei era li che mi aspettava. Era sempre così elegante, bella, profumata. Mi guardò sorridente, l'ultima volta che mi aveva visto ero ridotta parecchio male a causa sua. Si accese la solita sigaretta, me ne offrii anche una, ma rifiutai. L'auto cominciò a camminare, l'autista fece il giro dell'isolato.

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