37: I demoni

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Non trovò pace in quel letto, tartassato dai i suoi "demoni" che dalla nascita dei figli lo vengono a tormentare ogni notte.
Tutto ebbe inizio nel gennaio del 1830, quando lui e sua moglie che si trovava in procinto di partorire decisero di fare un piccolo giro per la città in carrozza, tutto andò bene fin quando un uomo dalla corporatura assai esile non si mise innanzi ai cavalli urlando

"Aleksander Igorievic scendi e affrontami da vero uomo"

Saša non capì di chi fosse la voce, ma nonostante le richieste della moglie scese lo stesso dalla calesse

"Chi siete voi per importunare me e mia moglie?"

"Siete un grande bastardo"

"Come osate darmi questo appellativo ignobile lerciume che non siete altro"

"Qui l'unico lerciume siete voi, che avete mandato tanta brava gente sul lastrico"

Fu una questione economica, di sicuro costui era uno dei tanti operai nella fabbrica che egli gestiva

"V'ho dato il giusto compenso, quindi ora liberate la strada e andatevene prima che chiami la gendarmeria"

L'uomo stizzito da quella parole prese del fango è lo getto in pieno volto a Saša sotto gli occhi sbalorditi di tutti quanti, era in procinto di estrarre il suo coltello d'acciaio (regalo di mercante di San Pietroburgo) per infilarlo nella gola di quell'infame ma venne fermato da Polina che gli disse
"Saša non è il caso, placa il tuo animo"
Le sue parole risuonarono come un monito al suo odio che si assopì pur rimanendo ancora acceso sotto la brace.

Da quel dì in poi Aleksander non si diede pace, la sua vita sembrò legata al destino di quell'uomo che lo aveva infangato, non volle più mangiare né vedere la moglie oramai già in prede alle prime contrazioni dovute all'imminente parto, più volte la sua coniuge lo pregò in ginocchio di lasciar perdere per il bene di lei e del suo futuro figlio (non volendo che il marito giacesse anche se momentaneamente in qualche carcere) Saša pietrificò il cuore non volendo che l'onta subita potesse ricadere sulla sua famiglia e sulla prole.

Alla fine di gennaio ebbe la soffiata di dove vivesse costui, quella notte aspettò che Polina s'addormentasse per dare vita alla sua vendetta, prese con sé alcuni servi e fece accendere delle torce, fortuna volle che la casa "dell'infame" stesse ai margini nella città, troppo lontana affinché qualcuno potesse venire in tempo a soccorrere i suoi residenti.

Nella mente di Saša l'intenzione era solo quella d'incutere terrore nel suo aggressore, minacciando di appiccare fuoco alla sua dimora se non gli avesse chiesto perdono per il misfatto, innanzi alla casa trovò tutte le luci spente, pensando che non ci fosse nessuno (poiché al tempo tutti in casa rimanevano almeno un lume accesso in caso di necessità) ebbe la bellissima idea di far bruciare la casa, i servi tentennarono al suo ordine ma furon costretti a lanciare le torce nelle finestre, le fiamme avvolsero facilmente tutto l'edificio visto che esso era fatto soltanto di legno.
Stavano per incamminarsi verso casa quando delle urla agghiaccianti riempirono la zona circostante, tutta la famiglia dell'uomo (che in seguito si scopri anche il nome, Boris) morì arsa viva, vani furono i tentativi di soccorrerli, le urla si placarono nel giro di pochi minuti, distrutto da ciò che ebbe fatto Saša cadde a terra come se fosse stato colpito a morte e pianse, ci vollero tutti i servi per alzarlo e trascinare via siccome egli era come un cadavere senza più nessuna forza.
Il giorno seguente, Polina che si venne a sapere tutto dai servi sotto la minaccia di fustigarli a morte, andò dal marito che sedeva sul letto

"Tu ora farai tutto ciò che ti chiederò, poiché se non vuoi disonorare te stesso e i tuoi figli farai bene a non contestare le mie azioni"

Non attese la risposta di Saša che rimase impassibile, sapeva che la sua si poteva dire conclusa, con quale coraggio sarebbe andato avanti giorno dopo giorno.
Da quella stessa sera, ogni volta che chiedeva occhio per dormire veniva perseguitato dagli spiriti di coloro che uccise, che lo affliggevano urlandogli

"È colpa tua"

Aleksander cercò di trovare conforto nella religione, ogni giorno pregava l'Iddio onnipotente che questi "demoni" lo abbandonassero, non vi fu mai nessuna risposta, il prete a cui chiese consiglio gli disse solo di fare dei pellegrinaggi in terra santa e dare tutto il suo oro alla chiesa ortodossa (cosa che l'uomo si rifiutò sempre di dare).
La morte emotiva la ebbe quando vide sua figlia piangere, totalmente inerme davanti alle angherie di sua madre, e lui non ha potuto muovere un dito per aiutarla.

Distrutto da tutto ciò, scrisse alcune parole su un piccolo foglio e si impiccò per il dolore patito, all'età di 48 anni lasciò un immenso patrimonio al figlio (Polina cambiò il testamento che aveva redatto il giorno dopo l'incendio, cambiando il nome nel figlio con il suo).
Sul quel piccolo foglietto, aveva inciso il suo ultimo pensiero ai due figli

"Vi amo con tutto me stesso"

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