Due del mattino;

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4 Marzo 1997



Il pavimento dell'infermeria stava cominciando a diventare più scomodo del previsto. Non avevo avuto il coraggio di stendermi vicino a lui, non volevo fargli male. Grazie all'aiuto di Madama Chisp le cicatrici si erano presto rimarginate e finalmente aveva riposato senza lamentarsi per i dolori.

Ero rimasta qui, seduta vicino al suo letto, con la schiena appoggiata al materasso, non era certo un bene per il mio corpo ora come ora, ma non volevo disturbarlo. Appoggiai poco la testa al letto socchiudendo gli occhi, ero talmente stanca da non riuscire a stare in piedi.

Madama Chips mi aveva costretta ad andarmene, ma ero ritornata senza farmi vedere, non volevo lasciarlo, non l'avrei fatto.
Ormai era notte fonda, da poco era suonato l'orologio che indicava le due di notte e io non riuscivo ad addormentarmi. Avevo letto un po', fatto un cruciverba, poi l'avevo guardato e tenuto la sua mano stretta nella mia.

Piton veniva a controllare una volta ogni tanto e faceva finta di non vedermi, ma poi quando andava via si voltava, mi guardava contrariato e spariva dietro la tenda che divideva il letto di Draco da quello di tutti gli altri.

Sapevo che era stato lui.
Era stato lui a maledire la collana e ad avvelenare il liquore. Ma nonostante questo non avevo paura di lui. Vedevo il buono in quegli occhi blu cielo, non mi avrebbe mai fatto del male, per nessuna ragione al mondo, o almeno lo speravo così ardentemente che l'illusione sembrava realtà.

Ad un certo punto la sua mano raggiunse i miei capelli massaggiandoli leggermente. «Che ci fai qui mocciosa?» chiese con la voce impastata dal sonno.

Sorrisi mettendomi subito in piedi. «Ti faccio compagnia.» mormorai con voce rauca vedendolo sistemarsi meglio sul letto.

«Che ore sono?»

Sospirai. «Le due, hai dormito molto.» mi limitai a dire guardando fuori.

«Ti sei spaventata?»

Non risposi, ma che diavolo di domanda era? «Che razza di domanda è?» chiesi acida facendolo sorridere.

Guardò difronte a lui, perdendosi tra il bianco delle tende che circondavano il suo letto. «Pensavo di morire.» mormorò afflitto.

«Ci speravi più che altro.» sbottai incrociando le braccia al petto.

Rise lievemente. «Forse.» non mi guardava più, fissava le sue mani, le gambe, probabilmente per capire se fosse tutto intero o meno.

«Ti voglio ancora sai?» poi disse all'improvviso facendomi arrossire.

«Non l'hai dimostrato.» scossi la testa.

Lui annuì. «Lo so, faccio schifo.»

«Non hai tutti i torti.» borbottai massaggiandomi le gambe.

Osservò il punto che stavo toccando e mi guardò dispiaciuto, sospirando.

«Non ti ho sentita vicino.» disse e io scossi subito la testa.

«Non volevo farti male, quindi ho alternato la sedia al pavimento.» confessai un tantino imbarazzata.

Lui strabuzzò gli occhi. «Sei proprio scema lo sai?» poi scostò le coperte. «Vieni qui.» batté una mano sul materasso.

«No, il letto è piccolo.» affermai.

Lui mi guardò malissimo. «Vuol dire che staremo più vicini.»

Le familiari farfalle nello stomaco cominciarono a svolazzare all'impazzata. Mi sfilai le scarpe e lentamente mi infilai nel letto insieme a lui. Eravamo uno di fronte all'altra, non ci toccavamo, tranne per le gambe che si sfioravano di poco.

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