Io e Martin rimaniamo in silenzio, la sua spalla che sfiora la mia. «Dovresti tornare a casa. Ci metti già più di un'ora per tornare.»
«Non voglio lasciarti da sola.» È stato tenerissimo a rimanere e ad assicurarsi che stessi bene, ma purtroppo non c'è nulla che possa fare. L'unica cosa che mi farebbe stare meglio sarebbe vedere gli occhi aperti di Ashton e vedere che respira senza dei tubi messi dentro al naso. «Mackenzie, se vuoi una spalla su cui piangere sono qui.»
Mi ritornano le lacrime agli occhi. Non voglio piangere, non ho fatto altro tutto il giorno. «Non preoccuparti per me.» Infondo non sono io quella in coma. Prendo la mano di Martin, stringendola appena. «Vai a casa, davvero. Ti chiamo domani.»
Spero che non insista, il mio è un chiaro invito a lasciarmi da sola. E sospiro sollevata non appena annuisce e mi lascia un bacio sulla testa, per poi uscire dalla stanza di Ash. Continuo a guardare il mio migliore amico e, ogni secondo che passo in questo maledetto ospedale, contribuisce a spezzarmi ancora di più il cuore. Non sopporto più le pareti bianche, l'odore di disinfettante. Ma soprattutto non sopporto più la macchina collegata al cuore di Ashton, che fa un rumore continuo. Non voglio sentire il suo battito attraverso una macchina, voglio sentirlo quando poggio la testa sul suo petto per abbracciarlo o quando dorme da me. Non così. Non come se stesse morendo.
Anna apre lentamente la porta, per poi sporgere solo la testa. Fa un sorriso triste non appena mi vede. È da ore che non mi stacco da qui, non me ne sono andata neanche quando Anita è venuta a fargli compagnia. Volevo darle un po' di privacy, davvero, ma le mie gambe non riuscivano a farmi mettere in piedi. La madre di Ashton si viene a sedere vicino a me. «Martin, eh? Sembra un bravo ragazzo.»
«Già.» Annuisco appena, guardando la mano di Ash bianca cadaverica. Non gliela sto più stringendo perché è fredda, troppo, e non fa altro che farmi venire più voglia di piangere fino a perdere la voce.
«A lui piaceva?» Si sta, ovviamente, riferendo a suo figlio. Non mi ha mai detto esplicitamente che gli stava antipatico, ma è evidente che è oggi.
Sorrido. «Neanche un po'.» Non dovrei ridere, ma ripensare alla faccia gelosa di Ashton mi mette di buon umore. È strano come un solo ricordo possa alleviare un po' di dolore, come una medicina dall'effetto immediato. L'unica pecca, però, è che dopo averci ripensato ritornare alla realtà fa ancora più male.
Anna ridacchia. «Sì, lo immaginavo. Non è mai stato bravo o disposto a diventare il secondo, per te.» Me lo ricordo. Quando eravamo piccoli eravamo solo noi due, ma solo Dio sa quante scenate di gelosia ha fatto quando ho iniziato ad uscire con Genesis e Violet. Il cretino pensava che non sarebbe stato più il mio migliore amico e che avrei passato più tempo con loro.
Alla fine allungo lo stesso la mano per stringere la sua. Anche se è fredda e non ricambia la stretta ho bisogno del contatto quasi come ho bisogno di respirare. Per ricordarmi che è vivo, che c'è speranza che si svegli. Ad Anna scappa un singhiozzo e mi si stringe il cuore. Nessuno merita di vedere il proprio figlio in queste condizioni, soprattutto persone come lei. «Avevamo litigato in questi giorni. Non mi rivolgeva la parola, l'ultima cosa che mi ha detto è che sarebbe venuto da te perché gli mancavi, solo perché gliel'ho chiesto.» Rompe il silenzio con la voce ridotta in un sussurro. Viene da piangere anche a me, più del solito.
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Stand by me
RomanceCooperatori per il giornalino della scuola, passione per il basket e un talento innato per pedinare le persone senza farsi beccare sono solo le caratteristiche principali dell'amicizia di Ashton e Mackenzie, migliori amici dalla prima elementare. S...