Capitolo 3

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Quel venerdì pomeriggio aspetto Ashton appoggiata alla sua macchina, con la cartella sui miei piedi e le braccia incrociate sotto il seno

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Quel venerdì pomeriggio aspetto Ashton appoggiata alla sua macchina, con la cartella sui miei piedi e le braccia incrociate sotto il seno. Oggi abbiamo deciso di stare di meno insieme, in modo da non destare sospetti nel momento in cui Ash mi "darà un passaggio a casa per parlare un po'". Nella cartella ho anche il mio cappellino da spionaggio e gli occhiali da sole, mentre Ash li ha nel cruscotto in caso di emergenza. Ho anche intravisto una busta di popcorn nei sedili posteriori: ha intenzione di seguirlo per un po'.

Lo vedo arrivare da lontano. Ha una maglietta grigia e dei jeans sbiaditi, ma non è quello che rende Ashton notabile. Sono i capelli biondi e mossi, che lui ama portare leggermente lunghi; gli occhi castani che ti sorridono; il naso sottile. Tutto in lui urla tenerezza, e al tempo stesso ha quel non so cosa di attraente.

Per fortuna sono immune al suo fascino. «Ce ne hai messo di tempo.» Alzo gli occhi al cielo, quando è abbastanza vicino perché mi senta. «Che dici, magari vuoi prenderti un caffè o fare una bella partita di schiacci prima di andare?»

Ash mi lascia un bacio sulla guancia, tenendomi ferma la testa con la mano quando cerco di spostarmi e ride. «Un'altra battutina e ti lascio a piedi.» Fa sempre così: mi dà affetto fisico solo quando deve insultarmi o dirmi di stare in silenzio.

«Io ti servo.» E anche perché, se si permettesse di spiare qualcuno senza di me, nessuno placherebbe la mia ira funesta. Achille mi farebbe soltanto il baciamano.

Questa volta è Ash ad alzare gli occhi al cielo e apre la macchina, per poi andare al posto del guidatore. Entro anche io e mi accomodo sul posto del passeggero. Lui ha preso la patente un anno e mezzo fa, mentre io non ne ho mai sentito la necessità, anche se Ash mi ha insegnato più o meno a guidare. Qualche mese fa il mio migliore amico aveva preso una storta al polso e per ovvi motivi non poteva guidare, così sono stata io a portarlo in ospedale. Ne vado molto orgogliosa.

«Come sappiamo dove trovare Peter?» Gli chiedo, prendendo il cappellino dalla cartella e legandomi i capelli. Indosso il cappello e metto gli occhiali da sole, poi prendo quelli del cruscotto di Ash e glieli metto mentre lui continua a guidare.

Il mio migliore amico mi lancia un'occhiata furba. «Beh, sappiamo dove vive per l'ultima e prima volta che l'abbiamo spiato. E nel caso non è lì ho visto la sua macchina quando ha cenato da me, perciò cercheremo quella.»

Annuisco e prendo i popcorn, infilando una manciata di questi in bocca. «Dobbiamo essere più prudenti del solito. Se tua madre scopre che abbiamo ripreso a pedinare le persone, ci ammazza.» L'ultima volta che ci ha beccato è stato due anni fa, e ci ha rincorso con una mazza da baseball dell'ex marito. Crede che abbiamo spesso, ma in realtà in questi anni non ci siamo mai fermati. Solo che, prima di queste settimane, non avevamo mai spiato lei o qualcuno che le sta vicino.

«Uccide me, non te. Tu sei la "piccola Mackenzie" ai suoi occhi, ed ogni cosa sbagliata che facciamo insieme sono io che trascino te.» Alza gli occhi al cielo, per poi ridacchiare e mettersi gli occhiali, dato che prima glieli avevo poggiati in testa. È pericoloso guidare con gli occhiali da sole. «Quello è Peter.» Si accosta vicino al marciapiede e indica con il mento un uomo sulla cinquantina. Ha i capelli grigi, ma un bel sorriso.

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