Evelyn
Il giorno seguente mi rifiuto di lasciare camera mia. La scusa? Un terribile virus intestinale. Funziona sempre, devo solo prendere dei fermenti lattici che non hanno mai fatto male a nessuno. Comunque lo stomaco mi fa male veramente, come ogni parte del mio corpo, soprattutto il cuore. Anche quando papà e nonno rientrano a casa, mi rifiuto di uscire dalla mia stanza.
Non pensavo di essere capace di piangere così tanto.
Possibile che mi sia immaginata tutto? I suoi sguardi, i suoi sorrisi, erano tutti nella mia testa? Nella stupida immaginazione di un'adolescente? Dal comodino, prendo la maschera bianca che ho trovato in soffita e l'accarezzo con amarezza, è per questa maschera che ho deciso di vestirmi da angelo all'ultimo minuto, perchè speravo di colpirlo con la semplicità, e per un attimo ci sono riuscita, fino a che non ha capito chi fossi. Ripenso a ogni parola che gli ho detto. Ripenso al modo in cui ha riso di me, di come ha riso del mio sentimento. "Perché non mi vuoi Can? Non sono abbastanza per te?" Sprofondo la faccia nel cuscino per soffocare le mie lacrime.Mi fa male il petto, fa male da morire e vorrei smetterla di soffrire.
Ti odio! Ti odio! Ti odio!
Trascorro il resto della domenica in lacrime e senza parlare con nessuno, mamma si preoccupa seriamente quando rifiuto anche di mangiare. Il lunedì mi alzo prima dell'alba. Preparo da sola Zeus e invece di allenarci con i soliti esercizi, lo sprono al galoppo verso il lago. Torno a casa prima che si sveglino tutti e mi rinchiudo in camera per il resto della giornata. I giorni seguenti non sono diversi, esco solo per andare a cavallo poi mi rinchiudo di nuovo nella mia depressione. Forse potrei parlare con qualcuno, ma con chi? Chi capirebbe questo sentimento così grande, questo mio dolore che mi impedisce di respirare? Marta? Sarah? No, sicuramente minimizzerebbero la situazione. Mi accorgo di essere sola, non ho nemmeno un'amica di cui possa fidarmi. Sono costretta a chiudere il mio dolore dentro di me, sperando che il tempo guarisca la ferita.
Il quarto giorno di isolamento mi sento impazzire. Le mie scappatelle di prima mattina non mi aiutano più. Guardo l'orologio, è ora di pranzo e il mio stomaco ormai allo stremo, mi supplica di riempirlo con qualcosa di più sostanzioso del solito brodino che mi prepara mamma. Esco dalla mia camera e scendo al piano di sotto. Subito un odore invitante mi fa venire l'acquolina in bocca. Dalla sala da pranzo arrivano le voci di mamma, papà e Robert, rimango per un attimo in ascolto. No, nessun altro. Mi affaccio nella sala con cautela. Mamma è la prima a vedermi e mi sorride con dolcezza.
«Tesoro...»
Anche papà si volta per guardarmi, «Vieni, perché rimani lì?» con la mano mi fa cenno di avvicinarmi.
Entro del tutto e subito i miei occhi si posano sull'oggetto del mio dolore che è seduto accanto a nonno. Il mio cuore rotto non dà segni di vita. Can mi guarda con aria preoccupata. "Oddio, quanto devo essere ridicola?" mi sistemo i capelli meglio che posso in modo da nascondere la mia faccia.
«Siediti» mi invita mamma, spostando la sedia accanto alla sua.
Guardo desiderosa l'uscita, ma mamma iniste che mi sieda.
«Questo virus ti ha proprio sciupata bambina mia» commenta mamma prendendomi il mento tra le dita per guardarmi meglio, «Ti va di mangiare qualcosa? Can ha preso un enorme pesce di tredici chilogrammi »
Mi mordo il labbro con forza per impedire al dolore che ho dentro di prevalere «Lo odio!» la mia voce è piena di risentimento. «In questo momento odio tutto, non mi va di mangiare nulla» spiego, vedendo sgomento nell'espressione di mia madre.
«Almeno, un pezzo di pane» insiste lei.
«No! Ho solo bisogno di un po' d'aria fresca» mormoro.
Mi alzo con gambe tremanti. Sento lo sguardo di Can su di me, ma io abbasso il mio a terra per paura che veda il mio dolore. Prima che scoppi di nuovo in lacrime, lascio la stanza per raggiungere velocemente l'esterno. Mi riempio i polmoni d'aria che non allieva questo mio senso di vuoto.
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Ti voglio, ma...
Fiksi PenggemarÈ bastato uno sguardo per fargli battere forte il cuore, un sorriso per fermare il suo respiro, un bacio per perdere la sua anima. Can Yaman non vede la famiglia Cooper da sei anni e quando ritorna a Waco, per ritrovare quella felicità che un tempo...