Capitolo 6

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Il cavallo corre freneticamente attraverso la foresta, il vento sferza i miei capelli e le risate di mio fratello risuonano cristalline alle mie spalle. Correre con i cavalli è sempre stato uno dei giochi più proibiti per tutti i bambini. Nonostante questo nostro padre si è prodigato per insegnarci a cavalcare fin dalla più tenera età considerandolo un esercizio importante per la nostra formazione. Non era però indulgente quando si trattava di praticare un tale esercizio da soli e senza protezione.

Ma a me e a Enric non importava prendevamo i cavalli dalla stalla e ci lanciavamo in corse sfrenate nella foresta o a battute di caccia facendo finta di essere dei temibili guerrieri.

Raggiungevamo una radura in alto ad una collina dalla quale era possibile osservare un'ampia veduta della vallata non bella come quella dall' albero ma sicuramente apprezzabile. Lì ci fermavamo a riposare ed Enric si metteva spesso a raccogliere frutti da un albero lì vicino.

Ora sia qui ed io sono distesa a riposarmi mentre lui è rimasto nei paraggi cercando qualcosa da mangiare con l'arco regalatogli da nostro padre.

Ormai è cresciuto tanto quanto me ed è ormai un ragazzo vispo e curioso. Io invece sono in procinto di diventare una donna e per tale evento il mio primo sangue verrà donato alle radici dell'albero per onorare il legame tra il villaggio ed esso. Come ogni donna del villaggio doveva fare.

Inoltre, subito dopo, mio padre vuole darmi in sposa ad uno dei figli dei villaggi vicini per dissipare futuri attacchi ai raccolti ed includerli sotto la nostra influenza.

Chissà cosa succederà? E come sarà lui?

Vorrei conoscere il mio futuro marito, ma dubito che questo avverrà se non all' ultimo. Mamma dice che sono stata fortunata quando era una schiava poteva solo sognarsela una vita del genere e che pertanto dovevo essere grata all' albero sacro per questo.

C'era della verità in quello che diceva, però dal profondo del mio cuore, so che qualcosa non va.

Il nonno non è mai stato avido nel parlare del suo passato ma ha disegnato nelle caverne la sua storia e da quel poco che si poteva intuire doveva provenire da una terra lontana oltre un enorme lago che lui chiamava mare. A parte qualche sporadico commento il nonno non voleva parlarne si limitava solamente a insegnarle quel gioco e a dirle che era stato fortunato ad approdare in una terra così verde ed ancora di più quando aveva trovato l'albero che l'ha salvato dalla schiavitù.

Non credo a tutto quello che mi ha detto ma, è bastato per accendere in me la curiosità. Nualla, il nostro druido racconta che l'albero è il passaggio tramite cui i morti passano per essere poi riportati in vita sotto forme diverse. Esso costudisce un potere immenso in grado di rigenerare dalla morte la vita e per questo noi lo veneriamo.

Ma bisogna stare attenti, l'albero ha coscienza e invidia i mortali per la loro forma nel mondo terreno.

Un mondo che lui contribuisce a sostenere ma di cui sa ben poco, immerso com'è nel suo compito sacro.

Non molto lontano sento Enric lanciare un urlo spezzando così i miei pensieri. Immediatamente mi alzo e sfodero il coltello da caccia che mi porto sempre dietro, corro nella sua direzione preoccupata per quello strano allarme.

Lo trovo in piedi davanti alla carcassa di una capra di montagna sulla quale una donna anziana si sta avventando con un coltello. Mi avvicino ancora di più e noto che la capra ha una freccia piantata nel collo, probabilmente dev''essere stato Enric.

- Cos'è successo? Perché hai urlato? - Gli chiedo, notando che la donna non sembra mostrarsi aggressiva nei nostri confronti ma solo in quelli della carcassa.

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