Capitolo 11

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Io e mio padre ci trasferimmo in quel paese perché un parente viveva già lì e per tanto ci aveva garantito un alloggio ed un lavoro per mio padre.

Mio padre diceva che una volta arrivati in quel paese tutto sarebbe andato bene.

Non fu così, o meglio, non subito.

La lingua e le incomprensioni sono state tante, l'ambiguità delle istituzioni e la sensazione di non afferrare mai le regole del gioco; hanno contribuito a rendere la mia adolescenza piuttosto complicata.

I soldi non erano mai ad abbastanza, lui cercava sempre di far quadrare i conti ma, c'era sempre qualcosa che costava troppo o che non si riusciva a pagare per intero. Però, la scuola era di vitale importanza e lui era sempre sicuro di poterla pagare.

E per questo s'indebitò con le persone sbagliate.

A volte venivano da lui nel cuore della notte, chiedevano dei soldi e lo picchiavano.

Il me stesso di allora, non sopportava più tale vista e pensò che se avesse lavorato per loro l'avrebbero smessa.

Il padre era furioso e si opponeva.

- Devi studiare! - urlava il padre.

- Ti uccideranno! - gridavo io.

Ed alla fine lo feci di nascosto; ero convinto che non se ne sarebbe accorto e decisi dunque di lavorare per i suoi aguzzini così che la smettessero di maltrattarlo.

Purtroppo, raramente situazioni del genere possono protrarsi per sempre e di fatti così accadde.

La stazione era il posto migliore dove spacciare, quindi, ci andavo spesso. Non guardavo più di tanto chi mi chiedesse la droga ma, capivo il perché molti gli odiassero: Reietti, disoccupati, ragazzini e ragazzine a volte perfino persone in giacca e cravatta. Esseri alla ricerca di un attimo in cui sfuggire alla realtà o per riuscire a sopportarla. Divenuti schiavi di un impulso, perché era questo che erano e lo sapevano anche loro.

Le persone che affrontano la realtà non capiscono il dolore di chi non la sopporta e spesso non sanno fornire alternative valide. Per questo a loro volta sono odiati da questi soggetti.

Io non li odiavo, li compativo. Più spesso mi erano indifferenti, in particolare quando vedevo quegli sguardi vuoti. Cercavo di sfuggire a quegli occhi persi verso cose immaginarie, verso un mondo invisibile.

Una volta, lo sguardo che incrociai mi mise i brividi: una ragazza, dagli occhi azzurri e i capelli neri.

- Quanto? - chiese.

- Non qui. - la prudenza non era mai troppa.

La portai dietro ad un vicolo dove non passava quasi nessuno.

- Cosa vuoi? - chiese cercando di non guardarla negli occhi.

- Eroina. -

- Quanta? -

- Un grammo. –

- Sono cinquanta. -

Lei mi fissa sgranando gli occhi.

- Non potresti farmi del credito? Non ho tutti quei soldi. – Comincia a grattarsi le mani e ad assumere un tono alto e disperato.

- Posso dartene di meno in base a quanto hai, qui non si fa credito a nessuno. –

Mentre lo dicevo mi guardavo attorno per controllare che nessuno ci vedesse ed è allora che l'ho vista:

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