Capitolo 2

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"Capo, c'è Henry Cooper, devo farlo entrare?" non udivo quelle parole da così tanto tempo e mi presi dei secondi di silenzio per assaporarle e sorridere.
"Certo, Lexi" risposi, allegra "Fallo entrare"
La mia segretaria cercò di nascondere una smorfia, ma ero troppo felice per notarla davvero. Henry era lì e avremmo finalmente passato una serata fuori, la prima dopo mesi.
Quando attraversò la porta dell'ufficio, mi alzai immediatamente dalla sedia per andargli in contro e buttargli le braccia al collo "Ehilà"
Henry si guardò attorno con un sorriso mentre mi cingeva la vita con le braccia "Continuo a pensare che il tuo ufficio sia più bello del mio"
Nascosi il viso nel suo collo, stringendolo "Perchè è pieno di tuoi dipinti" Henry non prendeva un pennello in mano da troppo tempo e gli mancava, ma la sua società si era espanda anche al di fuori dell'Europa e richiedeva sempre più tempo.
"Ho prenotato in un ristorante qui vicino, andiamo?"
"Certo" un tempo avrei protestato per andarmi a cambiare, ma i jeans e le felpe non facevano più parte dei miei outfit. Da ragazzina prendevo in giro Henry perchè era sempre in giacca e cravatta, ma ora non c'era un giorno in cui io uscissi fuori di casa con vestiti non eleganti. Il lavoro cambiava davvero la propria vita.
Camminammo a braccetto fino all'ascensore, passando davanti a Lexi che ci salutò a bassa voce. Henry non le stava molto simpatico, benché non ne avessi mai capito il motivo. Le augurai una buona serata e le ricordai di ordinarmi delle cartelle che le avevo lasciato sulla mia scrivania, poi io e Henry andammo via.
Le mie amiche a volte mi prendevano in giro, ma era davvero un miracolo che io e Henry riuscissimo a vederci per più di dieci minuti.
Non badai nemmeno al ristorante in cui andammo o a ciò che ordinammo da mangiare, i miei occhi si cibavano solo della sua vista.
Per gran parte della cena parlammo di ciò che avevamo fatto a lavoro e di come era andata la giornata, di solito avevamo questa conversazione a letto prima di addormentarci, ma inevitabilmente uno di noi cadeva nel sonno quando l'altro stava raccontando qualcosa.
"Ho sentito Trevor, prima di venire da te" mi annunciò durante il dessert "Sta lavorando ad un nuovo caso d'omicidio ed è rimasto sconvolto che non ne sapessi niente"
"È una vita che non guardo un telegiornale, mi sento in colpa verso il mondo"
Henry mi sorrise divertito, in sette anni insieme il suo sorriso non era mai cambiato "Per fortuna c'è mio fratello che ci aggiorna"
"Di che altro avete parlato?"
Mi fissò qualche attimo di troppo in silenzio, come se stesse esitando, poi scosse la testa e sorrise di nuovo "Perchè non mi dici dello shopping nuziale?"
"Arianna ha trovato il vestito" lo informai "Era splendida, Henry, una sposa perfetta. Credo che a Michael verrà un colpo quando la vedrà! E la pancia di Greta è sempre più grande, non ci credo che tra cinque mesi avrà dei figli. Io e Federica siamo le uniche ancora spensierate" aggiunsi scherzando, Henry fece una smorfia che mi insospettì "Comunque" cambiai argomento "Federica mi ha detto che le cose vanno alla grande alla loro azienda. Luke sta benissimo"
"Chi ha detto che mi interessasse di Williams?"
"Henry..." gli sorrisi alzando le sopracciglia, sapendo che mentiva. La verità era che quando Luke, circa tre anni prima, era andato via dalla sua società, Henry era stato giù per un paio di giorni. Nonostante alcune diversità, gli piaceva lavorare con Williams e lo considerava uno dei migliori. Negli anni avevano legato di più, ritenendo inutile portare rancore per gli errori e le avversità del passato.
"In ogni caso" ora fu lui a cambiare argomento "Ho avuto un incontro di lavoro con Michael"
"Davvero? Quando?"
"Un paio di giorni fa, non ho avuto modo di dirtelo" come al solito era sottointeso "Sta ultimando la progettazione di un edificio in centro e voleva che la mia società fornisse alcune ultime tecnologie per aggiungere un tocco di classe"
"E l'incontro è andato a buon fine?"
Henry aggrottò la fronte e piegò gli angoli della bocca verso l'alto "Certo, mi ha detto che l'inaugurazione dell'edificio sarà intorno a giugno dell'anno prossimo"
"E ricorda che a febbraio abbiamo l'inaugurazione dell'albergo di Dylan a Praga!" dissi "Siamo così pieni di impegni"
"E a dicembre ci sarà la premiazione di miglior CEO emergente"
Un brivido mi attraversò in fretta la schiena "Già" sospirai e scossi lievemente la testa "A volte penso a Greta che si sta costruendo una famiglia e una carriera contemporaneamente, io non ce la farei mai"
"Niente è impossibile" il suo tono era forzatamente casuale "Paghiamo il conto e torniamo a casa?"
"Di già?" alzai il polso sinistro per guardare l'ora, ma la voce di Henry mi interruppe.
"Eve" i suoi occhi erano incatenati ai miei in una danza d'amore e di persuasione "Devo ricordarti quanto tempo è passato?"
Un tepore familiare e ben accetto mi invase il corpo.
Pagammo il conto pochi secondi dopo.

La sveglia era forse l'unica invenzione che fosse utile e orribile allo stesso tempo.
Mi dispiaceva per Henry che doveva subirsi la mia, alle sei del mattino, e la sua, alle sette.
Andavo sempre in ufficio un'ora prima di lui, mi piaceva restare da sola e in silenzio nell'edificio per schiarirmi le idee sul da farsi.
Scivolai via dalle lenzuola mentre Henry bofonchiava un saluto e si girava stendendosi supino. Mi concessi un solo secondo per ammirare la sua bellezza scultorea e poi andai a prepararmi, in silenzio e meccanicamente.
Londra era attiva a qualsiasi ora, quella era una delle cose che amavo di quella città che ormai avevo il privilegio di chiamare casa. Mandai un messaggio sulla chat di gruppo delle mie amiche, allegando una mia foto fuori dall'ufficio e scrivendo Rimpiango lo shopping di ieri mattina.
Chissà quando saremmo state di nuovo tutte e quattro libere per stare insieme.
La mattina precedente mi ero concessa una mattina libera e quindi quel giorno avrei dovuto lavorare il doppio per recuperare. Henry diceva sempre che ero fobica, come quando all'università insistevo nello studiare un tot di ore e che se non lo facevo, recuperavo il tempo perso il giorno dopo.
Non mi ero mai trovata male con questo sistema, perchè alla fine riuscivo a fare tutto ciò che avevo in programma e non mi sentivo mai in colpa per non aver soddisfatto dei requisiti che io stessa mi imponevo. Il premio per miglior CEO emergente era dietro l'angolo e io volevo vincerlo, non tanto per il premio in sé ma per ciò che simboleggiava e per la fama che avrebbe dato alla mia società.
Quella mattina mi sedetti alla mia scrivania come al solito, immaginando sovrappensiero come sarebbe stato il matrimonio di Arianna.
Nessuno sospettava che quel giorno sarebbe stato magico per qualcuno ma nefasto per qualcun altro.

Le sfumate dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora