Capitolo 22

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Certe cose il proprio corpo non le dimentica mai.
La mia schiena si era inarcata al suo tocco, la pelle mi si era incendiata con i suoi baci.
Tutto era stato così naturale, come se non avessimo mai smesso, come se non ci fossimo mai separati.
E il silenzio che ci fu dopo, con me e Henry stesi a pancia in su, non era imbarazzante o teso come erano stati i nostri ultimi silenzi Era rilassante, pacifico.
Come avrebbe dovuto essere prima, come aveva smesso di essere quando avevamo mandato tutto all'aria.
E cercavo di non pensare.
Cercavo di non pensare a come quella sarebbe stata l'ultima volta insieme, vulnerabili.
L'ultima volta che avremmo avuto l'occasione di parlare come due persone intime, che si conoscevano come se avessero studiato una mappa.
Distolsi lo sguardo dal soffitto e voltai la testa verso di lui, trovandolo già con gli occhi fissi su di me; rimanemmo ancora in silenzio, a guardarci negli occhi e a memorizzare ogni dettaglio del nostro viso, seppur inconsapevolmente.
Non potevo dire che non lo amavo più, perché non avevo mai veramente smesso. Una parte di me lo avrebbe amato sempre, lui sarebbe stato per tutta la vita la mia più grande debolezza, quando un tempo era stata la mia forza.
Dopo quella che parve un'eternità, Henry mi parlò con la voce che era poco più di un sussurro "È troppo tardi per aggiustare le cose"
Lo era? Era troppo tardi per ritornare indietro?
Magari il nostro amore, quel filo che ci avrebbe sempre legati, era più forte di ciò che ci eravamo detti, di ciò che c'era stato. Forse sarebbe
"Immagino di sì" mi ritrovai a dire senza pensarci troppo, anche se sentii una parte del mio cuore andare in pezzi per l'ennesima volta.
Mi studiò il viso, le labbra, l'espressione appena accigliata che sapevo di avere assunto E io studiai lui, studiai la durezza dei suoi lineamenti, la piega appena all'ingiù delle labbra, la profondità dei suoi occhi. Era sempre stato bellissimo, ma ora guardarlo faceva quasi male.
Eppure, sostenni il suo sguardo, ascoltai senza distogliere gli occhi le sue parole "Non possiamo essere amici"
"No" sussurrai a mia volta, d'accordo con lui.
"No" ripeté Henry, quasi assorto nei suoi pensieri.
"Ma non voglio che ci evitiamo a vicenda"
Lui annuì "Saremo due persone che si conoscono" mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio "E che sono sempre felici di incontrarsi"
"Sempre"
"Sempre"
Nessuno dei due si mosse, perché alzarsi da quel letto voleva dire salutare per sempre ciò che eravamo stati, voleva dire che non avremmo più parlato come i ragazzi che eravamo stati.
"Dipingi ancora?" chiesi all'improvviso, trovandomi interessata nella risposta.
Attese qualche secondo prima di rispondere, come se stesse valutando se dirmi o no la verità "No" ammise infine, capendo che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avremmo potuto mostrarci deboli l'uno con l'altra, in confidenza "Tu suoni ancora la chitarra?"
Erano anni che non lo facevo "No"
"Suonavi le canzoni di Ed Sheeran divinamente"
"Photograph era la nostra canzone"
Aggrottò prepotentemente le sopracciglia e strinse la labbra in una linea sottile, io volevo sapere cosa stava accadendo nella sua testa.
Gli misi la mano sulla sua guancia sinistra "Cosa?"
Lui scosse appena la testa, chiudendo gli occhi e, in un certo senso, chiudendomi fuori "È umiliante"
"Henry..." tentai un sorriso "Dopo avermi fatto vedere il modo in cui cucini, non c'è più niente in te che possa essere umiliante"
Gli scappò una risata mozzata, anche se priva di umorismo "Sono stato alla festa di compleanno di Crystal a novembre, la ricordi, vero?"
Annuii, pensando ai ricci biondo ossigenato della sua segretaria "Cosa è successo?"
"C'era la musica e..." deglutì "E hanno messo quella canzone"
Rimasi in silenzio, rendendomi conto di essermi in qualche modo avvicinata a lui ancora di più, i nostri visi erano vicinissimi.
"E sono crollato, sono"
"Henry..."
"Sono uscito dalla stanza il prima possibile e sono" riaprì di scatto gli occhi sofferenti "Quella è stata la prima volta che ho pianto"
Ed ora ero io che piangevo, avevo le guance rigate dalle lacrime "Scusa" non sapevo perché lo stessi dicendo, ma continuai a ripeterlo "Scusami"
In uno scatto veloce, mi mise le braccia attorno la vita e mi strinse a lui, inspirando nei miei capelli "Scusami" disse a sua volta "Scusa, scusa, scusa"
E forse ero io che lo dovevo consolare, per via di quello che mi aveva appena confessato, ma iniziai a piangere istericamente, come avevo fatto la notte della cerimonia di premiazione. Non sapevo chi stesse consolando chi, in realtà, perché ad un certo anche lui iniziò a tremare anche se le sue guance rimasero asciutte.
Sì, era quello ciò che ci mancava, ciò che ci serviva per separarci definitivamente.
Una chiusura, un addio.
Non più Henry e Evelyn.
Ora eravamo Henry Cooper ed Evelyn Greco, due persone che si conoscevano da anni, che condividevano dei ricordi.
Non più Henry e Evelyn, la squadra, gli amici, gli amanti.
Due vecchi conoscenti, felici di incontrarsi se il caso lo voleva.
Ad un certo punto ci rivestimmo silenziosamente, anche se la mia mente non registrò le azioni che intrapresi per farlo... Fu come se avessimo fatto un salto in avanti nel tempo e basta.
Henry, riprendendosi da quel momento meccanico che utilizzammo per rivestirci, mi prese il polso sinistro e lo studiò con l'attenzione di un medico "Non hai più il braccialetto" era più una constatazione che una domanda, ma c'era una sfumatura interrogativa nel suo tono.
"Era necessario" non volevo esplicitare il bisogno che avevo avuto di togliermi quel braccialetto, ma sapevo che lui avrebbe capito.
La sua espressione, i suoi occhi, tutto nel suo viso portava un immenso dolore, un dolore che non era mai stato affrontato del tutto. Mise una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse qualcosa che non vidi, poi mi prese la mano e l'aprii delicatamente, facendoci cadere dentro qualunque fosse l'oggetto metallico che aveva preso.
Dopo, Henry mi prese il viso tra le mani e mi baciò la fronte, un ultimo gesto d'affetto.
Molto tempo prima ci eravamo promessi che non saremmo mai stati degli sconosciuti Magari ora ci sarebbe stato un leggero distacco, non ci saremmo chiamati a vicenda nelle situazioni di emergenza, ma non ci saremmo più evitati.
"Addio, Henry" lo salutai, sentendomi il petto più pensate e più leggero allo stesso tempo.
Henry tolse le mani dalle mie guance e fece un passo indietro, come se volesse già mettere una distanza di sicurezza "Addio, Eve"
Quando ebbi la forza di sbloccare i muscoli, aprii la mano e per poco il mio cuore non si fermò una seconda volta, colpito da mille spine e vetri frantumati che minacciarono di togliermi il fiato.
Un portachiavi di Praga scintillava nella mia mano, come se il nostro addio si fosse fatto metallo.
Ma niente di tutto ciò mi sembrava giusto.

Le sfumate dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora