"...E per questo sono lieto di consegnare questo premio a Evelyn Greco, una giovane CEO che si è fatta strada e si è costruita una carriera da sola" se uno non lo avesse conosciuto, avrebbe detto che la voce di Henry era piena di calore e di ammirazione; io che lo conoscevo bene, invece, sentii il modo in cui parlava troppo velocemente, notai il modo in cui la E del mio nome veniva detta con la bocca troppo chiusa, la ve detta a denti stretti e il lyn quasi sussurrato. Notai come evitasse di guardarmi negli occhi persino mentre mi avvicinavo e percorrevo i pochi scalini che mi avrebbero portato da lui.
"Non potrei immaginare nessun altro qui sul palco a ritirare questo premio" aggiunse, voltandosi finalmente verso di me.
Ci bloccammo entrambi per un attimo, con il premio sollevato a mezz'aria dalle sue mani, i nostri sguardi incatenati, incuranti delle decine di persone che ci guardavano in attesa."Ci sono cose più importanti"
"Cose più importanti? Come un premio di cui nessuno se freghi veramente qualcosa?"I ricordi riaffiorarono nella mia mente come scene di un film visto anni prima e quasi dimenticato, lontano e inafferrabile. Ma le lacrime che minacciavano di uscirmi dalle occhi erano reali, concrete.
Benché inconsapevole sul come, riuscii a fare un discorso conciso ma ad impatto senza versare una lacrima; ma il corpo iniziò a mostrare segni di cedimento, a partire dalle mani che tremavano o dal fiato che si faceva sempre più corto. Dovevo uscire, smettere di essere davanti al centro dell'attenzione.
Henry nel frattempo aveva raggiunto Dylan vicino alla solita finestra, aveva le mani in tasca e lo sguardo fisso su di me, imperscrutabile come non mai.
E dentro di me urlavo, urlavo
Sentii come qualcuno darmi un pugno in pieno petto, cercai disperatamente di respirare, di riaffiorare dalle acque che mi avvolgevano la mente.
E la realtà di tutto ciò mi colpì in piena faccia, per la prima volta da quella sera catastrofica.
Non sarei tornata con lui a casa."Vincerai tu... Ti consegnerò il premio e dirò a tutti quanto tu sia eccezionale"
"E festeggeremo" "Andremo a mangiare al nostro camioncino"
"E andremo sul London-Eye"
"E poi torneremo a casa... A casa nostra"
"Un'intera notte di festeggiamenti"
"E un'intera mattina"
"E un'intero pomeriggio"
"Facciamo anche la notte dopo?"
"Facciamo tutte le notti"Non avremmo rispettato quel programma, ma sarei tornata a casa da sola, senza nessuno con cui gioire e nel più completo silenzio.
Realizzai che fino a quel momento non avevo ancora metabolizzato niente, non avevo ancora capito. Ma ora io guardavo lui e lui guardava me e non c'era niente, nessun sguardo d'intesa e nessun sorriso nascosto.
Quanto era passato? Due mesi? Sembrava che ci fossimo lasciati ieri.Io e te siamo una squadra, affronteremo tutto questo insieme"
Eravamo stati la roccia l'uno dell'altra per così tanto tempo e ora stavo annegando, qualcuno mi salvi.
"Devi accogliere questo tuo dolore, perché se continui a respingerlo, ti distruggerà"
Gli avevo detto quelle parole a Monte Carlo, dopo aver scoperto l'esistenza di Trevor. Io non avevo seguito il mio consiglio, perché avevo respinto la sofferenza della sua perdita fino a quel momento, ma ora Ora
I miei amici notarono il cambiamento nel mio, si protesero verso il palco come se potessero afferrarmi in caso di caduta, ma io ero stabile sui miei piedi. Non riuscivo a muovermi.
Fu quando udii un applauso generale che realizzai di aver finito il mio discorso, che per tutta la durata del mio crollo emotivo avevo continuato a parlare come se niente fosse. Mi portai casualmente una mano alle guance e vidi che erano asciutte, per fortuna.
Mi concessi di rivolgere un ultimo sguardo a Henry, ma lui non c'era. Doveva esser andato via ad un certo punto nel mio discorso, mentre io ripensavo a quello che avevamo e a come fosse ormai irreparabile.
Scesi dal palco con le mani che mi tremavano, guardando un punto dritto davanti a me e cercando di muovere i muscoli facciali il meno possibile.
Una mano mi toccò una spalla e trovai accanto a me Arianna "Cosa è successo?" mi sussurrò, con il resto del gruppo che si avvicinava.
È successo che ci siamo lasciati, ci siamo lasciati, ci siamo lasciati.
"Emozione da palco" non avevo la forza di parlarne in quel momento, non avevo la forza di sorridere mentre le persone mi approcciavano per congratularsi.
In un momento di tranquillità, mi misi davanti ad una delle ampie finestre, desiderosa di silenzio e di discrezione, non volevo essere sotto gli occhi di tutte quelle persone in quel mio momento di debolezza.
Una voce fin troppo familiare mi giunse alle orecchie, facendomi irrigidire "Congratulazioni, Evelyn"
Incontrai gli occhi azzurrini di Dylan, sempre colmi di affetto e di sincerità "Grazie"
"Stai bene?"
Strinsi il premio nelle mie mani e distolsi lo sguardo "Lui è andato via?"
Lo sentii sospirare "Non è facile nemmeno per lui"
Non ne potevo più di quella conversazione, così accolsi con piacere una delle altre decine di persone che volevano parlarmi.
Fortunatamente dopo una decina di minuti smisi di essere al centro dell'attenzione, ma il mio gruppo fidato ne approfittò per circondarmi di nuovo "Non sei felice?" mi domandò Shawn in un tentativo di rallegrarmi.
No, non lo sono. Dovrei essere felice ma non lo sono, perché questo premio non ha valore ora che so di aver perso una parte di me stessa, non ha valore se tutto il resto nella mia vita va male.
"E chi non lo sarebbe?" forzai un sorriso mentre parlavo.
"Che ne dici se venite tutti a casa nostra a festeggiare?" propose Federica prendendo a braccetto Luke "Perché festeggiare è d'obbligo! Siamo tutti così felici per te"
"Grazie" la mia voce era robotica "Ma ho mal di testa e domani ho un sacco di lavoro da fare, voglio andare a dormire"
"Sei sicura?" fece Greta "Se vuoi possiamo venire a casa tua o..."
"No, tranquilli" tentai un altro sorriso "Voi andate a divertirvi, ma io sono stanca. Ci vediamo domani pomeriggio come al solito, non vedo l'ora di rivedere i bambini" iniziai a camminare verso l'uscita per evitare che mi stoppassero "Buonanotte, ragazzi"
Feci un grande respiro una volta entrata nell'ascensore, le mani mi tremavano così violentemente che impiegai più del dovuto per premere il giusto pulsante. Conoscevo la mia mente e il mio corpo e sapevo, sapevo che stavo per avere un cedimento.
Non pensavo che sarebbe stato così difficile, non pensavo che rivederlo...
Scossi la testa, battei la mano su una delle quattro pareti dell'ascensore e mi morsi un labbro, incapace di pensare, incapace di fare qualsiasi cosa.
Sfiorai il braccialetto, continuai a tastarlo con i polpastrelli delle dita fino a che non fui fuori dall'edificio, fino a che non fui accolta dal gelo di Londra e mi infilai con furia il cappotto. Mentre respiravo affannosamente l'aria mi usciva dalla bocca e si condensava, formando nuvolette davanti al mio viso che si frantumavano e scomparivano. Anche io avrei voluto scomparire, andarmene via e non tornare più.
Ma in realtà c'era un solo posto in cui volevo andare in quel momento ed era lì che avevo intenzione di
I miei pensieri si bloccarono all'improvviso, perché lui era lì, seduto per terra sul marciapiede dell'edificio, una sigaretta che si stava spegnendo tra le dita e lo sguardo rivolto alle auto che andavano e venivano.
Rimasi lì come una stupida a fissarlo e lui registrò la mia presenza, irrigidendo subito la schiena e rivolgendomi uno sguardo freddo, illeggibile.
Ci fissammo in silenzio, blu contro verde, labbra serrate, io stavo ancora sfiorando il braccialetto, ma le mani avevano ricominciato a tremarmi.
"Ciao" dissi infine, velocemente e quasi senza fiato.
"Ciao" si alzò dal marciapiede, ma rimase distante.
"Stai fumando" era una costatazione inutile, perché sapevo che aveva ricominciato a fumare, ma speravo che dopo essersi tolto lo stress della nostra relazione avesse smesso di nuovo.
"Ho ricominciato, non te n'eri accorta prima?" se intendeva dirlo come una battuta, gli venne molto male.
"Buonanotte, Henry" ridire il suo nome dopo così tanto tempo fu strano, percepii la dolcezza con cui dicevo en e la durezza della r, mentre la y mi venne quasi come un sussurro.
Si accigliò sentendo il suo stesso nome, quasi come non volesse che lo pronunciassi, ma si riprese subito e rimise la maschera dell'indifferenza "Congratulazioni, comunque"
"Grazie" poi dissi la prima cosa che mi venne in mente "Ti trovo bene"
"Alla grande" il suo viso non rifletteva le sue parole "Tu come stai?"
"Benissimo" entrambi sapevamo della nostra bugia, ma ci andava bene prenderci in giro a vicenda.
"Immagino che ora andrai a festeggiare" non era bravo nel fingere una conversazione piacevole, ma nemmeno io lo ero d'altronde.
"Vado a casa, domani..." mi bloccai prima di finire, ma lui intuì comunque ciò che non avevo pronunciato e serrò la mascella "Vado a casa" dissi infine, pensando che non gli dovevo alcuna spiegazione.
"Buonanotte, allora"
Feci per andarmene e lui parve rilassarsi, ma venni assalita da un'onda rabbiosa e così mi rivolsi di nuovo ad un Henry nuovamente teso "Potevi dirmi grazie"
Aggrottò la fronte e si irrigidì "Come, prego?"
"Ti ho scritto della nascita dei gemelli. Potevi dirmi grazie, o scrivermi almeno okay"
"Non ci ho pensato" mi veniva voglia di strangolarlo.
"E potevi dirmi del figlio di Nate!"
Ora parve sorpreso "Non credevo ti interessasse dopo..." si interruppe e lasciò sfumare le parole nel vento. Questa sua assunzione mi innervosì, perché i suoi amici erano diventati anche miei nel corso degli anni, ci ero affezionata. Pensavo che Henry mi conoscesse, pensavo che lo avrebbe capito...
Fui io ad accigliarmi questa volta "Lascia perdere"
Il vento mi stava scompigliando i capelli e Henry, probabilmente non pensandoci, fece per sistemarmi una ciocca dietro l'orecchio, ma si fermò con la mano a mezz'aria e la riportò subito lungo il fianco.
Ci fissammo per qualche attimo eterno, poi mi voltai definitivamente, andando verso la mia auto parcheggiata.
"Evelyn" la sua voce richiamò nuovamente la mia attenzione, così mi bloccai mentre aprivo la portiera posteriore, il mio autista aveva già acceso il motore "Sono felice per te, ti meriti questo riconoscimento"
Sentii l'acido nel sangue, la gola mi bruciava "Un riconoscimento di cui non frega niente a nessuno?"
Il richiamo di quelle sue parole astiose lo colpì, vidi un lampo di dolore attraversargli il viso. Non provò a fermarmi quando entrai nel veicolo, rimase lì immobile mentre mi allontanavo dall'edificio, da lui.
Il primo posto dove andai non fu casa, non potevo tollerare quell'ambiente vuoto, così mi feci portare dove sarei stata comunque, a prescindere da come le cose con Henry erano andate.
Il camioncino, il nostro camioncino, era rimasto immutato nel corso degli anni, era davanti alla solita panchina sulla quale io e Henry ci eravamo seduti tante volte, inclusa la prima volta che eravamo usciti insieme, un aprile di tanti anni fa.
Dissi al mio autista di farsi un giro e ritornare tra una mezz'oretta, desideravo totale solitudine e per questo accolsi benevolente l'assenza di passanti.
Mi sedetti sulla panchina e iniziai a pensare a due ragazzi di diciannove e venticinque anni, seduti su quello stesso legno a conoscere la risata l'uno dell'altra, pensai a quei due ragazzi in un parco notturno e agli scherzi su chi sarebbe morto per primo, pensai a quei due ragazzi che si erano ritrovati in un secondo Paese.
A quei due ragazzi che avevano iniziando ad innamorarsi senza rendersene conto.
Baci impetuosi, pelle contro pelle a Capri, una minuscola camera dell'università di Cambridge, una casa solo nostra.
Iniziai con un singhiozzo strozzato e silenzioso, un tentativo disperato di mandare dell'aria ai polmoni, poi iniziò il pianto isterico, lacrime che sgorgavano come cascate."Henry Cooper, si spegneranno le stelle il giorno in cui smetterai di farmi ridere"
Ora mi stava facendo piangere, ma le stelle erano lì a fissarmi beffarde, rinfacciandomi la mia arroganza. Il tremore delle mani si diffuse in tutto il corpo, mi abbracciai come se potessi impedirmi di rompermi, come se quei esili arti potessero rimediare alla sofferenza.
Ma la sofferenza c'era, c'era e io la sentivo tutta forse per la prima volta, mentre versavo le prime lacrime per la fine di quella relazione."Non ti azzardare a spezzarmi il cuore, Henry Cooper"
Mi strinse più forte "Non è qualcosa di cui devi preoccuparti"
"Promettilo"
"Lo prometto"Eppure non aveva mantenuto la sua promessa, mi aveva preso l'anima e l'aveva calpestata e bruciata, e ora rimaneva solo cenere persa nel vento.
E lo odiavo, lo odiavo, lo odiavo per quello che aveva detto, per la promessa che aveva infranto.
E mi odiavo, mi odiavo, mi odiavo per quello che avevo fatto, per la persona che mi ero permessa di diventare."Henry" sussurrai, come avevo fatto in tanti momenti di debolezza trovandolo sempre al mio fianco.
"Sai a cosa ho pensato? Che non mi chiami più straniero"
"Perché non sei più uno straniero. Ora sei casa"Dov'era casa mia?
Ero sperduta, sola.
Mi nascosi il viso tra le mani e soffocai un urlo.
Dov'era casa mia?
Non lo sapevo, non lo sapevo, non lo sapevo.
E non c'era più nessuno a mostrarmi la via.
STAI LEGGENDO
Le sfumate dell'alba
RomanceSEQUEL DE "Le sfumature della notte" • • Sono passati sette anni dal momento in cui Evelyn ha messo piede in Inghilterra, facendone la propria casa. Ora lei e le sue amiche hanno un lavoro di cui sono soddisfatte, le loro vite non potrebbero andare...