Il nostro abbraccio riconciliante fu interrotto da un Dylan Brown sorridente, che ridacchiava come una ragazzina di tredici anni davanti a Robert Pattinson.
"Lo sapevo!" disse ad alta voce, indicandoci con fare accusatorio "Lo sapevo che sarebbe finita così!".
Sia io che Henry eravamo ancora scossi, perciò non gli rispondemmo subito.
Controvoglia, mi staccai da Henry facendo attenzione alle sue ferite e mi asciugai gli occhi con la manica della felpa "Hai un tempismo perfetto, Dylan"
"Sono felice di vederti, Dyl" gli rispose Henry, allungando una mano per intrecciare le nostre dita "Ma potevi attendere altri trenta secondi"
"Ero troppo felice, scusate" Dylan si avvicinò e si chinò su Henry, mettendogli una mano sulla spalla "Sei stato fortunato, molto"
Henry chiuse gli occhi, inspirando rumorosamente e annuì piano, senza dire nient'altro. In quel momento ebbi una strana sensazione, sapevo che c'era qualcosa che non andava, oltre ovviamente al fatto di essere rimasto coinvolto in un brutto incidente.
"Henry..." sussurrai, avvicinando i nostri visi; non gli chiesi ad alta voce quale fosse il problema, perché lui capì la mia domanda e mi rispose, anche lui senza parlare, che non ne voleva parlare ora.
Eravamo di nuovo in sintonia, riuscivamo di nuovo a capirci.
Sentimmo Dylan tirare su con il naso e ci voltammo verso di lui; stava tremando e aveva aggrottato la fronte.
"Vieni qui" disse Henry infine, e il suo migliore amico lo avvolse in un abbraccio affettuoso.
"Ho avuto una paura terribile" mormorò Dylan con la voce rotta dal pianto "Non farlo più"
Dalla mia posizione, riuscivo a vedere solo la faccia di Henry, che aveva gli occhi lucidi "Non è che l'abbia fatto apposta" provò a scherzare, stringendo l'amico.
Vedendoli così, venne da piangere anche a me, ma rimasi seduta in silenzio per tutto il tempo di cui quei due avevano bisogno per rassicurarsi di essere vivi.
"Ti voglio bene" gli disse Dylan.
"Anche io, Dylan" Henry chiuse gli occhi "Anche io"
Un nuovo giorno era ufficialmente iniziato, io non dormivo da ventiquattro ore ed ero emotivamente provata Ma stavo bene.
Mi sentivo felice, felice come non mi sentivo da tanto, troppo tempo.Dylan aveva guidato fino a Liverpool con la sua auto, perciò dopo aver atteso che le ventiquattro ore in ospedale passassero, tornammo a Londra con lui.
Henry, dopo aver ricevuto un'altra dose di antidolorifici, aveva dormito per dieci ore. Io avevo riposato con lui per un'oretta, ma non mi addormentai veramente fino a che non entrammo nella comoda macchina di Dylan.
Henry si sedette sui sedili posteriori accanto a me, perché non voleva lasciarmi nemmeno per un secondo. Trascorsi il viaggio di ritorno addormentata con la testa sulla sua spalla e le braccia avvolte attorno al suo corpo.
Nonostante la nostra riappacificazione fosse chiara, dovevamo ancora parlare.
Dylan ci riportò a casa, quella che Henry aveva lasciato mesi prima chiamando qualcuno per far portare via le sue cose.
Quella che mi era sembrata terribilmente vuota dopo la nostra rottura.
Dopo aver fatto promettere ad Henry che si sarebbero visti il giorno dopo, fummo finalmente lasciati da soli.
Henry si guardò attorno, contemplativo "Non ci sono più i miei quadri"
"Sono in una stanza coperti da un telo" ammisi "Faceva troppo male guardarli"
Lui annuì, poi si avvicinò allo scaffale dove avevamo appoggiato varie cornici con le nostre foto.
Scaffale che ora era vuoto.
"Risistemeremo tutto" gli dissi, abbracciandolo da dietro.
Ora che era effettivamente arrivato il momento per parlare, non sapevo bene come iniziare la conversazione.
Henry sembrava rilassato, ma c'era una tristezza nel suo sguardo che volevo fargli passare, volevo rivedere il suo sorriso mozzafiato, quei suoi occhi ridenti che mi rallegravano sempre.
"Ci siamo già chiesti scusa per quello che è successo tra di noi" gli dissi, pensando che il problema fosse quello "Avevamo bisogno di un po' di tempo per resettarci, ma le cose non saranno più come prima" feci il giro per poterlo fronteggiare e gli accarezzai una guancia "Saranno molto meglio, Henry"
Lui torreggiava su di me, doveva abbassare la testa per potermi guardare negli occhi "Eve..." coprì la mia mano con la sua e si abbandonò al mio tocco, chiudendo gli occhi "Ho temuto di non rivederti più" la sua voce era a malapena un sussurro "Non dovrei nemmeno essere qui"
Lo guardai preoccupata "Perché?"
Forse stava per dirmi quello che lo turbava?
"Ero seduto accanto al finestrino" iniziò a dire, avvicinandosi alla vetrata che mostrava Londra. Fuori era buio, i lineamenti del suo viso facevano un gioco di ombre, oscurando alcune parti e illuminando altre. Non avevamo acceso i lampadari, non ci avevamo neanche pensato, l'unica illuminazione in quel momento proveniva da quella vetrata e dalle piccole lampadine a led che circondavano i banconi della cucina, per renderli visibili anche di notte.
"Accanto a me c'era un ragazzo" continuò incrociando le braccia al petto "Aveva la nausea, perciò gli ho proposto di scambiarci di posto, così avrebbe guardato il paesaggio e magari sarebbe andata meglio" finalmente si voltò verso di me, la sua pelle sembrava blu tra il buio dell'appartamento e le luci esterne "Quando il treno si è schiantato contro l'edificio, una trave gli ha trafitto il petto"
Io non facevo altro che guardarlo, con il cuore che mi batteva forte e le lacrime agli occhi.
"Quella trave avrebbe trafitto me, se non ci fossimo scambiati di posto"
"Henry..." la mia voce era tremante.
"E quando è successo, Evelyn" mi prese il viso tra le mani e accostò la sua fronte alla mia "Il mio unico pensiero sei stata tu. Non ho pensato a nient'altro, non al mio lavoro, ai miei amici o a tutte le cose che non avrei potuto fare. Ho pensato soltanto al tuo viso, al non poter avere l'occasione di rimediare al mio errore e tornare da te"
Ora stavo definitivamente piangendo, per la millesima volta in quelle ventiquattro ore.
"E ho pensato" concluse, catturando con il pollice una mia lacrima "Che l'ultima volta che ti avevo visto, ti avevo fatta piangere e che ora non avrei più avuto l'occasione di farti ridere"
Lo abbracciai di slancio, con tutto il corpo che mi tremava "Ma sei qui" dissi "Sei qui e stai bene e ora puoi rimediare. Possiamo rimediare"
Le sue braccia mi strinsero la vita, il suo viso era tra i miei capelli "È così bello essere di nuovo a casa"
Avrei potuto perderlo, ma non era successo, dovevamo concentrarci su questo.
"Henry" gli dissi, facendomi indietro per poterlo guardare negli occhi e trasmettergli tutta la mia sincerità "Io e te siamo complementari"
Il suo intero viso si riempì d'emozione, ricordando quelle parole dette prima della nostra prima partenza per Parigi. Erano passati sei anni, ma quelle parole non avevamo mai smesso di essere vere.
"Siamo una squadra, Eve" disse lui, riaggiustando il mio cuore con quelle sole parole "L'unica squadra di cui voglia mai fare parte"
Quello che dissi, che richiesi, dopo, non fu il frutto di un'impulsività, ma della realizzazione di ciò che volevo, realizzazione che era arrivata troppo tardi.
"Chiedimelo di nuovo" gli dissi, in piedi davanti a lui con le braccia lungo il mio corpo e gli occhi incatenati ai suoi "Chiedimelo di nuovo, Henry"
Lui capì immediatamente "Eve..."
"Non ero pronta la prima volta, ma ora lo sono. Perciò richiedimelo, Henry"
"Sei sicura?"
Lo guardai con convinzione "Mai stata più sicura in vita mia" con un passo gli fui di nuovo attaccata, con le mani sulle spalle.
Invece di parlare, Henry chinò la testa fino a che le nostre labbra non si toccarono.
Quello era il nostro primo bacio dopo la riappacificazione, ma non fu violento e frettoloso come erano stati quelli a Praga. Era dolce, quasi incerto.
Mi abbandonai al bacio, riaccogliendo felice quella sensazione di calore in tutto il corpo, il solletico sulle labbra
Questo era il tipo di bacio che chiudeva un film, quello che ti lasciava con un sospiro e gli occhi sognanti.
"Eve" Henry mise entrambe le mani sulle mie guance e mi guardò emozionato "Voglio sposarti"
Non era proprio una domanda, questo mi fece sorridere "E io voglio sposare te, Henry"
Fuochi d'artificio dentro i nostri cuori, risate incontrollabili, labbra contro labbra, il mio corpo avvolto nel suo...
Eppure non mi sentii in colpa per tutto ciò che era successo, perché ci aveva portati lì, in quel preciso momento delle nostre vite, senza alcun cenno di insicurezza o tensione. Era così che doveva andare.
I nostri baci si fecero più appassionati, più vogliosi
"Aspetta" gli dissi, quando i miei polpacci colpirono il letto, il nostro letto "Le tue ferite"
"Non mi fanno male" replicò, baciandomi la gola "Lascia preoccupare me di quelle"
Gli tolsi il maglione che indossava e gli analizzai il torace, sfiorando con i polpastrelli delle dita le zone più scure.
Henry catturò le mie mani nelle sue, sorridendomi dolcemente "Eve..."
Non preoccuparti mi dicevano i suoi occhi.
Mi alzai sulle punte e gli baciai di nuovo le labbra, accarezzandogli le spalle e la schiena.
Lui mi liberò dalla felpa e poi, facendomi sedere sul letto, mi aiutò a togliermi i jeans; ora era in ginocchio davanti a me, guardandomi adorante "Sei bellissima"
"Anche tu lo sei" replicai, stendendomi e aspettando che lui mi raggiungesse. Poco dopo, anche la nostra biancheria intima sparì.
I suoi baci mi percorsero tutto il corpo, facendomi vedere scintille e facendomi sentire in paradiso, e quando stabilimmo di nuovo un contatto visivo, prima di unire i nostri corpi, Henry mi sistemò con una mano i capelli dietro le orecchie, con tutta la tenerezza di questo mondo nei suoi occhi.
Mi sembrò di ritornare a Capri, la nostra prima volta insieme Era stato così dolce, così attento e tenero che già lì avevo capito che non avrei voluto passare la vita con nessun'altro al mondo.
"Tutto quello che sono, tutto quello che voglio essere..." mi sussurrò "Lo affido a te. Sono completamente tuo, lo sono stato fin dal primo momento"
Non mi aveva mai detto una cosa così romantica, non era nel nostro stile dirci apertamente certe cose Ma lo amai così tanto in quel momento che sentii il cuore uscirmi dal petto.
I nostri corpi si unirono, ma i nostri occhi rimasero incatenati "Ti amo, Eve"
"Ti amo" gli risposi, sorprendendomi di quante poche volte glielo avessi detto in questi anni "Ti amo"
Non riuscivo a trovare altre parole per trasmettergli tutto ciò che provavo, ma non ce n'era bisogno. Lui mi disse con un altro bacio che aveva capito, come sempre.
D'altronde, a volte le parole non erano importanti.
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Le sfumate dell'alba
RomanceSEQUEL DE "Le sfumature della notte" • • Sono passati sette anni dal momento in cui Evelyn ha messo piede in Inghilterra, facendone la propria casa. Ora lei e le sue amiche hanno un lavoro di cui sono soddisfatte, le loro vite non potrebbero andare...