Capitolo 10

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Erano passati circa quattro giorni dalla nascita dei bambini di Greta, dall'email che avevo mandato e di cui mi ero pentita la mattina dopo, quando non avevo visto nessuna risposta.
Stavo ancora fissando il portatile quando Trevor, la seconda persona che meno di andava di vedere, entrò nel mio ufficio. Nessuno mi aveva avvisata, visto che la mia segretaria era ancora sparita.
"Buonasera, Evelyn" era rigido, ma il suo sorriso era dolce come sempre, non forzato.
"Buonasera, Trevor" lo salutai a mia volta, alzandomi dalla mia scrivania "Come stai?"
I suoi occhi, così simili a quelli del fratello, mi guardarono seri "Non hai visto i telegiornali?"
"No" risposi confusa, mi ero isolata da ciò che succedeva dal mondo esterno, anche se non avrei dovuto farlo.
"Nessuno ti ha chiamata?"
"Non ho sentito nessuno e ho avuto poche riunioni in questi giorni, perchè?"
"Abbiamo arrestato la responsabile di quelli omicidi"
"Ah! Buono a sapersi" sarebbe stato brutto dirgli che me n'ero completamente scordata? Un'omicida andava in giro ad ammazzare persone ed io me n'ero dimenticata Cos'ero diventata?
Trevor inarcò un sopracciglio, mossa che mi ricordò Henry in una maniera dolorosa, e nel suo sguardo non c'era niente di gentile "Proprio non lo sai? È su tutti i giornali, pensavo che il tuo addetto stampa te ne avesse parlato"
"In questi giorni non c'è, la madre è malata"
Lui, in tutta risposta, scosse la testa e sospirò "Henry aveva ragione", quando però si ricordò che io ero presente, sgranò gli occhi e lessi nei suoi occhi che non voleva dirlo ad alta voce.
"Ragione su cosa?" domandai incrociando le braccia al petto.
"Lascia stare L'omicida era la tua segretaria, Lexi"
Mi accigliai, incredula "Come?"
"Il suo vero nome è Margot, si è finta un'altra persona per tutto questo tempo per poter entrare in questo vostro piccolo mondo benestante. È completamente pazza, continuava a ripetere di voler abbattere ogni singola persona che riteneva indegna Una cosa assurda"
Il nome aveva acceso qualche interruttore nella mia mente, ma non riuscivo a...
"Avete frequentato Cambridge per un breve periodo insieme, poi è scappata"
Improvvisamente, ricordai della strana ragazza con gli occhiali rotondi e i capelli corvini, sempre legati in due codine.
"Ma la faccia non sembra nemmeno più la sua!" protestai, cercando di fare ordine nella mente.
"Chirurgia plastica, lenti a contatto, tinta per capelli Si è data un bel da fare"
Mi coprii il viso con le mani "Mio Dio, come sono stata cieca"
Trevor rimase in silenzio per un bel po', poi mormorò "Già", senza provare a consolarmi.
"Mi toccherà procurarmi una nuova segretaria, ti dispiace andare?" feci io mentre mi sedevo di nuovo dietro la scrivania "Devo chiamare l'addetto al personale"
Mi scrutò con sguardo imperscrutabile, fece un sospiro e rimase lì dov'era "Evelyn, possiamo parlare?"
Mentre cercavo il numero giusto sulla rubrica del telefono, risposi "Dobbiamo proprio?"
"Dovrei essere incazzato con te, lo sai?"
Ora fu il mio turno di fare un sospiro esasperante "Trevor, non ho tempo per questa conversazione"
Non ho la forza di affrontarla, sarebbe stato meglio dire.
Lui mi ignorò completamente "Hai preso mio fratello e lo hai fatto a pezzi. Lo hai aggiustato e poi lo hai fatto a pezzi"
Alzai la testa di scatto, cercando di guardarlo il più freddamente possibile "Vattene"
Non aveva nessun diritto, nessun diritto, di venire nel mio ufficio e accusarmi di aver fatto soffrire Henry, come se lui fosse esente da qualsiasi colpa.
"Sappi che ti voglio bene, Evelyn, e so sei stata fondamentale per il nostro rapporto, forse è per questo che non riesco ad odiarti completamente... Ma stai alla larga da Henry, per favore. Per il bene di entrambi, state alla larga l'uno dall'altra"
Non dovevo giustificarmi di niente con Trevor, perciò mantenni la stessa espressione glaciale mentre gli dicevo "Fuori"
Questa volta mi ascoltò ed emisi un sospiro di sollievo quando fui di nuovo da sola.
Fissai il cellulare che avevo in mano e composi un altro numero, uno che probabilmente non avrei dovuto chiamare.
"Pronto?" fece Dylan dopo il quarto squillo.
"Sono Evelyn" mi presentai anche se aveva il mio numero memorizzato.
Rispose con un tono di voce neutro "Sì, sono Dylan Brown, che vi serve?"
"Henry è con te?"
"Sì"
Mi morsi il labbro inferiore e mi passai una mano sulla fronte "Voglio solo sapere come sta"
"Non posso dirlo con certezza, ma me ne occuperò io" poi aggiunse con più dolcezza "Non si preoccupi"
La mia mano andò al braccialetto che portavo sempre al polso "Grazie"
Ci fu una lunga pausa, poi Dylan disse "È andato a fumarsi una sigaretta... Tu come stai?" la preoccupazione che colsi nella sua voce mi sciolse il cuore.
"Non lo so" ammisi, mettendo il vivavoce e appoggiando le mani con la testa "La mia segretaria era un'assassina e io non me ne sono accorta... Poi Trevor è venuto qui e..." scossi la testa e sentii una fitta di dolore in tutto il corpo, il mio dolore mentale che diventava fisico.
Lui era il suo migliore amico, avrebbe potuto dirmelo. Dylan aveva un cuore buono, sapevo che non mi odiava, sapevo che riusciva a vedere entrambi i lati di questa storia, per questo riuscii a chiedergli "L'ho fatto a pezzi, Dylan?"
Rimase in silenzio per un paio di secondi prima di rispondermi "Vi siete fatti a pezzi a vicenda"
Di nuovo, un vuoto si impossessò del mio petto e dovetti portarmi la mano al cuore per assicurarmi che battesse.
Non riuscivo più a parlare, non sapevo che dire, ma per fortuna Dylan lo comprese e parlò lui "Immagino che ci vedremo alla cerimonia del CEO dell'anno"
"Immagino di sì" la mia voce era distante, quasi non la riconoscevo "Buonanotte, Dylan"
"Ciao, Evelyn"
Chiusi la telefonata e fissai il paesaggio di Londra dalla finestra, lasciandomi avvolgere dal vuoto nel petto.

Le sfumate dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora