XXIX

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Quando si era svegliato, il giorno seguente, Giovanni non era rimasto  per nulla sorpreso nel vedere l'ora segnata dall'orologio sul comodino.
Era pomeriggio inoltrato e il motivo per cui si era alzato così tardi risiedeva tutto nell'inchiostro nero che ancora gli colorava le mani.
La notte appena passata la ricordava come se fosse stata quasi un'allucinazione.
Era sfocata l'immagine di lui che stringeva in mano la penna riempendo fogli e fogli di qualsiasi cosa gli passasse per la testa, tanto che aveva dovuto ricontrollare più volte se la lettera che aveva finito per scrivere fosse ancora al suo posto sopra la scrivania o se se la fosse solo sognato.
Questa era però esattamente dove l'aveva lasciata e lo sfidava a rivivere le ore insonni passate tra il dolore provato nel sentirsi la verità strappata dal petto e la leggerezza data dalla consapevolezza di essersi finalmente liberato dal peso di mesi e mesi di pensieri.
Una volta in piedi, si era ricordato dell'incontro che lo aspettava quella sera. Era stato infatti invitato ad una cena organizzata da uno dei produttori più famosi della città.
Si trattava di un'occasione senza dubbio importante, alla quale tra l'altro avrebbero partecipato anche i suoi amici Tancredi e Luca, oltre a Falso e ai manager delle principali discografiche in visita a Roma.
Rimasto scottato dall'esperienza del Gala di settimane prima, l'idea di gettarsi di nuovo così presto in mezzo a personaggi appartenenti a quell'ambiente, non lo allettava.
Si era trascinato in bagno controvoglia, indossando in fretta una camicia ed un pantalone eleganti tirati fuori a caso dall'armadio.
Aveva pensato poi con calma a pettinarsi e farsi la barba mentre in sottofondo le canzoni di Madame, una degli artisti emergenti che ultimamente ascoltava più volentieri, gli tenevano compagnia.
Solo una volta pronto, si era ricordato del telefono che per tutta la notte aveva lasciato in carica sul comodino.
Togliendosi nuovamente le scarpe appena indossate, era corso in camera a prenderlo.
Quando lo aveva riacceso, un messaggio galleggiava in solitudine sullo schermo.

Stasera, Teatro Quirino. Ore 20.30
Ti ho prenotato un posto.

Sangiovanni non ci aveva dovuto pensare due volte.
Aveva preso le chiavi di casa, spento la luce ed era uscito.



Nel momento stesso in cui aveva trovato il suo posto tra la miriade di poltrone rosse, Giovanni sapeva che avrebbe assistito ad uno spettacolo degno di nota.
Se infatti gli altri ballerini dell'accademia avevano anche solo la metà del talento di Giulia, sarebbe stato impossibile per chiunque non restare meravigliati dalle esibizioni che avevano messo in piedi.
Così aveva seguito ogni singola performance con grande attenzione, rimanendo rapito dalle scenografie e dai costumi tanto quanto dalle coreografie portate in scena.
Ma quello a cui proprio non era preparato era forse il momento che in cuor suo aspettava più di tutti.
Giulia aveva guadagnato l'assolo per cui tanto aveva faticato, ed ora la poteva ammirare in tutto il suo splendore, illuminata dalle luci del palcoscenico.
Aveva raccolto i capelli in una treccia morbida e indossava un delicato vestito bianco.
Si sentiva a suo agio ma era anche molto emozionata, Giovanni l'aveva capito dal modo in cui frettolosa aveva raggiunto il centro del palco, senza mai perdere il sorriso che nervoso faceva capolino sulle sue labbra.
Aveva riconosciuto la canzone già dalle prime note.
Mi sei scoppiato dentro al cuore.
Uno dei classici della musica italiana e forse una delle prime canzoni che avevano ascoltato insieme.
Ricordava ancora le cuffiette condivise, loro distesi sul letto, la sua testa che gli poggiava sulla spalla.
Non le aveva staccato gli occhi di dosso per tutta la durata dell'esibizione.
Aveva lasciato vibrare il cellulare in tasca senza mai tirarlo fuori e neanche una volta aveva pensato a quello che sicuramente Falso avrebbe avuto da rimproverargli il giorno dopo.
C'era solo lei in quel momento, il resto faceva soltanto da sfondo.
Così aveva osservato attento ogni singolo accento, seguendola emozionato mentre faceva prendere vita ad ogni parola, mentre giocava e provocava l'unico oggetto di scena presente su quel palco insieme a lei. Era una giacca, così simile alla sua da spingerlo a chiedersi se fosse veramente appartenuta a lui una volta. Che Giulia avesse frugato nel suo armadio?
Poco importava in quel momento.
Ed era stupido pensarlo, perché sotto il palcoscenico c'erano file e file di persone che immerse nel buio le dovevano apparire tutte uguali, ma per tutta la durata della canzone sembrava guardasse proprio lui.

Una volta finito lo spettacolo,Giovanni si era fatto indicare da un dipendente del teatro dove avrebbe potuto trovare i camerini.
Era rimasto ad aspettarla fuori dal portone rosso, un mazzo di girasoli ormai sciupati in una mano.
Quando finalmente l'aveva vista uscire, stringendosi nella leggera giacca che aveva sulle spalle per ripararsi dall'umidità della sera, non aveva potuto non notare come fosse bella.
E non si riferiva al trucco che non aveva fatto in tempo a togliere o alle onde che le decoravano i capelli, ma alla luce che la seguiva ovunque.
Da lontano la sentiva scherzare con i suoi amici, la sua risata che spiccava su tutte, e quando si era aggiustata il borsone sulla spalla, la maglietta le si era alzata di un centimetro lasciando intravedere la pelle pallida del fianco.
Aveva subito fatto caso a come Giulia fosse consapevole della sua presenza, ma costringesse gli occhi a non girarsi mai dalla sua parte, temporeggiando. Forse per farlo penare ancora un po'.
Non che Giovanni non lo meritasse.
Ed era stata forse tutta quell'attesa a rendere ancora più elettrico il loro incontro.
«Allora buonanotte,ragazzi.» l'aveva sentita dire, ad un certo punto.
Non si era mosso dal suo angolino mentre la vedeva salutare e abbracciare affettuosamente tutti i suoi compagni.
Tra tutte le emozioni che stava provando in quel momento, anche l'invidia aveva fatto capolino nel suo cuore.
Quello stesso disperato bisogno di sentirla ancora tra le sue braccia, lo aveva accompagnato prepotente per tutte le settimane in cui erano stati divisi.
Legandosi i capelli in una coda, Giulia l'aveva poi raggiunto.
Gli sembrava si muovesse a rallentatore, per quanto fosse preso dall'ansia di averla a pochi centimetri da lui.
«Sei venuto.» aveva esordito lei, sapendo che ogni tentativo di saluto sarebbe stato senza senso.
«Sì.», aveva gracchiato Giovanni dopo essersi schiarito la voce. Ora che ce l'aveva di fronte e poteva sentire di nuovo il suo profumo, quasi non sapeva più cosa dire.
«Sei stata bravissima. »
Giulia gli aveva lanciato uno sguardo indecifrabile e nel panico si era poi corretto.
«Tutti, voglio dire. Siete stati tutti bravissimi.»
Giulia non aveva commentato la sua evidente agitazione, limitandosi piuttosto ad indicare i fiori che teneva ancora in mano.
«Quelli sono per me?»
Giovanni aveva annuito, consegnandole il mazzo.
Finalmente Giulia aveva sorriso.
«Girasoli. I miei preferiti, grazie.»
Non aveva fatto in tempo a dire altro, che aveva sentito una voce richiamarla.
Giovanni aveva seguito la traiettoria del suo sguardo, e non gli ci era voluto molto per riconoscere quella che doveva essere sua madre.
Si assomigliavano molto.
«Giulia, andiamo? C'è nonno che ti vuole fare i complimenti.»
Dopo aver annuito nella sua direzione, la ragazza si era di nuovo voltata verso di lui,in attesa.
«Devo andare. C'è altro che volevi dirmi?»
«No. Cioè, sì. Aspetta.»
Dopo un attimo di confusione, si era messo a frugare nella tasca dei pantaloni per tirarne poi fuori una busta e consegnargliela.
«Tieni.»
Dopo un attimo di sorpresa, le dita delicate di Giulia avevano fatto attenzione a prenderla senza sfiorare le sue.
«Ciao, allora.» lo aveva salutato, gli occhi che tradivano le sue emozioni.
Era rimasto a guardarla andare via, finché non si erano spente anche le luci del teatro alle sue spalle.

*

«Allora? Chi era quel ragazzo, Giugiu?»
le aveva chiesto sua madre mentre si dirigevano verso la macchina, dove il resto della sua famiglia l'aspettava trepidante.
Giulia aveva esitato giusto il tempo di un secondo prima di risponderle.
Era arrivato il momento di liberarsi di un altro peso.
«Si chiama Giovanni. Se vuoi te ne parlo quando torniamo a casa, ti va?»
Susi l'aveva guardata sorridendo, soddisfatta della proposta.
«Certo che mi va.»
Una volta in viaggio, tra il caos della sua famiglia e i mazzi di fiori che profumavano l'abitacolo, Giulia aveva appoggiato la guancia sul vetro freddo del finestrino.
Osservava distratta la città mentre tra le dita stringeva forte la lettera, quasi avesse paura potesse volare via.

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-1 all'epilogo 🤍

Una lacrima sul viso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora