XVII

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Giulia aveva approfittato della pausa per bere un goccio d'acqua, mentre cercava di correggere mentalmente i passi che le risultavano più ostici.
Con professionalità quella mattina si era costretta ad iniziare la lezione con la mente sgombra da qualsiasi pensiero non c'entrasse con la danza.
Lavorare con Veronica Peparini era un enorme privilegio ma anche un continuo mettersi alla prova.
Ogni volta che usciva dalla sala, nonostante i muscoli doloranti e i lividi sulle gambe, si sentiva però sempre un po' più fiera di se stessa.
E quei piccoli incidenti di percorso diventavano nient'altro che testimonianze del fatto che aveva imparato qualcosa di nuovo.
La coreografia che Veronica aveva creato per lei era diversa da tutto quello che aveva ballato fino ad allora.
«Ho scelto per te un grande classico della musica italiana, che richiede tanta tecnica ma soprattutto tanta espressività.», gliela aveva descritta così,la prima volta che si erano incontrate.
«Voglio vederti portare alla luce il significato dietro ciascuna strofa.»
Ed era forse proprio quest'ultima richiesta che aveva fatto andare in palla Giulia.
Il sentimento di cui la canzone parlava, quell'amore travolgente ed improvviso che veniva raccontato, lei non lo conosceva così bene.
Tutto quello che sapeva sull'argomento  lo aveva solo immaginato sentendo i racconti delle sue amiche o guardando il rapporto dei suoi genitori.
Ma sulla sua pelle non l'aveva mai provato.
Questo però a Veronica non l'aveva detto.
Con simili pensieri che le frullavano in testa, una volta tornata a casa aveva raggiunto sua madre sul divano.
«Mami? Posso farti una domanda?» le aveva chiesto,timida.
«Certo, amor. »
Susi si era girata verso di lei, distogliendo l'attenzione dalla tv.
«Quando hai capito di essere innamorata di papà?»
Stringeva le ginocchia in un abbraccio ascoltando con attenzione.
Sua madre era apparsa sorpresa dalla domanda ma si era presto ripresa, pensandoci su giusto un secondo prima di risponderle.
«Credo che il primo segnale siano state le bollicine.»
«Le bollicine?»
«Sì. Ogni volta che uscivamo insieme, le sentivo ovunque. Nello stomaco quando passavamo le ore a parlare, sulla pelle quando ci davamo la mano.»
Giulia aveva evitato di pensare a come tutto quello che la madre stava descrivendo le sembrasse terribilmente familiare.
«Poi nel periodo in cui siamo stati distanti, io a Barcellona e lui a Roma, ricordo perfettamente come avessi questo incredibile bisogno di raccontargli tutto quello che di bello e di brutto succedeva nella mia vita. Volevo condividere la mia felicità e trovare in lui conforto quando ero triste. Gioivo per i suoi successi e lui per i miei. E quando riuscivamo a sentirci, anche se solo per telefono, quei chilometri che ci separavano cessavano di esistere.»
Giulia dentro di sé si preparava a cadere nel vuoto, sentendo quelle parole.
Mentre raccontava, Susi appariva visibilmente emozionata.
«La prima volta in cui gli ho detto che lo amavo, avevo appena realizzato che era diventato per me ormai tante cose. Una spalla, un confidente, un leale amico. Ma soprattutto una continua sfida, un continuo tenermi accesa, curiosa, determinata.»
Notando gli occhi lucidi della figlia, e forse intuendo più di quanto questa fosse pronta a rivelarle, le aveva accarezzato il viso con dolcezza.
«Vedrai che fuori ti aspetta una persona che ti saprà regalare tutto questo. E se non la dovessi trovare, non ti deve importare. Tutto l'amore che puoi desiderare è riposto nella tua famiglia e in te stessa. Ci basteremo, carinyo. Sempre.»
Giulia l'aveva stretta forte, il cuore in subbuglio.
*
Il giorno seguente le cose non erano migliorate. Per niente.
«Non ci siamo, Giulia. Manca l'emozione.
Voglio vederti più leggera, felice. Non sei mai stata innamorata? Mi devi ricreare esattamente quella sensazione lì.», l'aveva rimproverata Veronica.
Giulia non aveva avuto il coraggio di controbattere mentre si preparava a ripetere tutto da capo.
Samuele la guardava seduto in un angolo della sala, lanciandole sguardi preoccupati.
«Cosa c'è che non va?» le aveva sussurrato, approfittando di un attimo di distrazione dell'insegnante.
«Mi vergogno.», aveva confessato Giulia.
«Non so perché, ma non mi viene nulla.»
«Ti vergogni? E di cosa?»
«Non lo so. Mi sento–» , ci aveva pensato un attimo, cercando di trovare l'aggettivo giusto per decifrare tutto quello che aveva dentro.
«–Ridicola. E mi terrorizza l'idea che possano pensare lo stesso tutte le persone che saranno allo spettacolo.»
Si era messa a giocare con l'elastico che portava al polso, evitando di guardarlo.
«Giulia, ascoltami.» l'aveva richiamata a quel punto l'amico.
«Quanto può contare il giudizio di persone di cui non conosci neanche il nome? Ne abbiamo parlato tante volte. Quando siamo su quel palco, balliamo prima di tutto per noi stessi. Perché non possiamo farne a meno, giusto?»
La ragazza aveva annuito.
«E allora focalizzati su questo. Usiamo il nostro corpo per comunicare, mandare un messaggio a chi è lì a guardarci. Questa canzone parla d'amore, no? E allora il tuo compito è celebrarlo con il tuo movimento. », le aveva suggerito, «Parla con i tuoi passi delle forme d'amore che conosci, ognuno poi lo interpreterà a modo suo. Non pensare a nient'altro. Balla, Giulietta.»
Non c'era più bisogno di dire nulla.
Giulia aveva raggiunto il centro della sala, lo sguardo determinato fisso sulla sua immagine allo specchio.
«Ci sono.»
*
«Non posso tornare sui miei passi, sarei un incoerente.»
Erano giorni che Deddy si sorbiva tutte le riflessioni e i ripensamenti di Giovanni. Ma quel giorno, forse arrivato al limite, era determinato a fargli capire quello che l'amico non era pronto ad ammettere a se stesso.
«Può essere. Ma forse sarebbe la cosa più vera e giusta che tu potresti fare.»
Sangio però, titubante come al solito, non era risultato ancora convinto.
«Non saprei comunque come dirglielo.»
«Sì che lo sai.»
A quel punto il ragazzo l'aveva guardato, in attesa.
Deddy si era limitato a consegnarli le cuffie e il cellulare che aveva lasciato sul tavolo.
«È arrivato il momento di fargliela sentire.»

Così Giovanni era finito sotto casa di Giulia, le cuffiette arrotolate nella tasca ed il telefono in mano.
Aveva suonato con il cuore in gola il campanello e non aveva dovuto aspettare molto prima di vederla comparire sull'uscio mentre timidamente gli faceva cenno di entrare spostandosi di lato per fargli spazio.
Quando le era passato accanto, aveva respirato a pieni polmoni il suo profumo sperando vivamente che lei non lo notasse.
Si stava comportando come uno stupido, ne era cosciente.
Ma anche se erano passati pochi giorni, averla finalmente così vicino l'aveva mandato in confusione.
L'aveva poi seguita nella sua camera, ed era rimasto contento di vedere come tutto fosse esattamente come lo ricordava.
Le pareti rosa, Marius appoggiato sul cuscino e le foto appese sopra la testiera erano sempre al loro posto.
Una volta seduti sul letto, Giulia si era girata a guardarlo in attesa che dicesse qualcosa.
D'altronde era stato lui a volerla vedere.
Erano stati in quella stessa posizione per molte altre volte prima di allora, ma in quel momento tutto sembrava diverso, nuovo.
«Volevo farti sentire una cosa.», le aveva spiegato senza giri di parole.
Trafficando un po' per sciogliere i fili delle cuffie, che neanche in una situazione così importante gli avevano risparmiato di annodarsi, gliene aveva poi consegnata una che lei aveva preso senza discutere.
Sangiovanni non aveva distolto per un attimo lo sguardo dal suo volto, mentre vi vedeva dipinte le espressioni più disparate. Dalla confusione, passava al riconoscimento fino al panico arrivato nel momento in cui aveva capito tutto.
L'aveva guardato con gli occhi sgranati indicandosi, incerta.
Sono io?, gli stava chiedendo.
Si era limitato ad annuire, sorridendo nervoso.

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