VII

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Qualcosa sembrava essere cambiato tra i due dopo quel pomeriggio passato insieme.
Con la scusa di voler essere sicuro arrivasse all'accademia sana e salva, Giovanni le aveva chiesto il numero, e da lì avevano passato tutta la serata a scambiarsi messaggi, alternando prese in giro a discorsi più seri.
Stavano imparando a conoscersi.
Giulia, ad esempio, gli aveva raccontato di avere un cane, si chiamava Gaston ma era stato presto ribattezzato dalla famiglia Stabile come Gas Gas. A quel punto, il ragazzo aveva dovuto confessarle della sua allergia per qualsiasi animale avesse del pelo. Quindi quasi tutti, aveva ribattuto Giulia, scherzando. Già ti immagino mentre porti al guinzaglio una bellissima tartaruga.
Inoltre, proprio al telefono Giovanni era venuto a conoscenza del fatto che Giulia non sapesse leggere l'orologio.
Ma a diciott'anni così stai messa?, l'aveva presa in giro.
Lei gli aveva risposto con una linguaccia. O almeno così immaginava, visto che non poteva vederla.
Era stato poi il suo turno di raccontarsi. Le aveva detto che nella vita aveva viaggiato molto, e che la città che più gli era rimasta nel cuore era stata Londra. Gli sarebbe piaciuto andare a vivere lì,un giorno. Era una città poliedrica, con tanto da ammirare, partendo dal suo essere un bacino di culture diverse, a testimoniarlo il forte odore di spezie che caratterizzava Camden Town, per poi passare all'estetica ordinata di Piccadilly fino a quella più colorata di Notting Hill.
Era forse questa la cosa che più attraeva Giovanni, il fatto che in una singola città potessero convivere così tante espressioni e sfaccettature diverse. Tutto lì era un lampante esempio di quell'apertura mentale che in Italia non aveva ancora mai trovato.
«Sembra bellissima, da come ne parli. Io non ci sono mai stata. Magari un giorno, quando abiterai lì, ti verrò a trovare.»
Giovanni si era scoperto quasi esaltato all'idea. Anche se aveva trovato il senso di colpa prepotente affacciarsi all'uscio di quei pensieri.
«Chissà. Ti posso fare tranquillamente da guida, comunque. La conosco a menadito.»

Avevano continuato a scriversi anche il giorno dopo. E quello dopo ancora. Nonostante non abitassero poi così distanti, nessuno dei due aveva proposto di vedersi. Come se quella corrispondenza senza tempo e spazio, permettesse loro di vivere in un mondo a parte, dove non era considerato strano condividere così tanto con una persona conosciuta solamente pochi giorni prima.
Eppure sento di conoscerti da molto più tempo, gli aveva scritto una sera.
Da lì erano poi passati a parlare di reincarnazione e seconde possibilità, concludendo che, se davvero avevano vissuto un'altra vita prima di quella, sicuramente dovevano essersi incontrati anche lì.
Anche la visione del tempo era cambiata radicalmente per Sangio in quei giorni.
Spesso si ritrovava a lanciare un'occhiata alla sveglia sul comodino e stupirsi di leggere come si erano fatte le tre, quattro del mattino. Quelle ore rubate al sonno, a cui lui di solito teneva più di ogni altra cosa, per Giovanni ora avevano la stessa rilevanza di una manciata di minuti. Insieme a Giulia era diventato protagonista di una storia in cui il tempo vestiva i panni del cattivo che correva veloce, mentre loro due cercavano di fuggire, come bambini, per non farsi prendere.

Solo più tardi, con l'aiuto di un foglio di carta ed una penna, era riuscito a decifrare cosa stesse succedendo dentro di lui e cosa ci vedesse di così speciale in Giulia tanto da arrivare ad un punto tale da non solo mandare all'aria quella routine che con fatica si era costruito, ma anche rivalutare qualsiasi opinione avesse sulle più moderne forme di comunicazione.
Rileggendo nero su bianco le sue sensazioni tradotte in parole e strofe, era arrivato alla realizzazione che ad attirarlo più di tutti era quella leggerezza che Giulia riusciva a trasmettergli e di cui così disperatamente in quel momento aveva bisogno nella sua vita.
Si sentiva piccolo, vulnerabile quando parlava con lei. Non ci era abituato.
Forse crescendo con due fratelli più grandi non si era mai potuto permettere di godersi appieno la spensieratezza che un bambino dovrebbe avere. Era stato costretto a crescere in fretta, a dimostrare costantemente che sí, era avanti per la sua età, poteva stare con i grandi. Poi erano arrivate le nocche screpolate, il muro che si rifiutava di cedere sotto i suoi pugni, e lui che prendeva tutto come una sfida. Il gravoso peso di dover dimostrare anche a chi era lì per indirizzarlo verso quella che sarebbe stata la sua vita futura, per insegnargli come si apprende da ciò che ci sta intorno, che era valido. Che se appariva distratto, annoiato, mai docile parte di una massa di bambini tutti uguali, non era perché peccava di arroganza o disinteresse. Semplicemente aveva bisogno di qualcosa in più. Era affamato. Voleva sapere, conoscere, saltare le tappe. Ma per ogni spinta , ogni salto con cui  provava a lasciare il nido prestabilito, c'era sempre qualcuno con la bacchetta in mano che gli urlava di smetterla. Non si era mai sentito compreso, ed il fatto che ora fosse entrata in punta di piedi nella sua vita una persona che teneva in mano forse la chiave giusta per aprire con dolcezza la porta della sua testa, lo terrorizzava.

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ci tenevo a ringraziare chiunque avesse speso qualche secondo del suo tempo per leggere o votare questa storia, vi mando un abbraccio virtuale🤍

Una lacrima sul viso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora