XIII

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Il ritorno a Vicenza non era stato come Sangiovanni si aspettava.
Nel momento stesso in cui era sceso dal treno per avviarsi verso casa, aveva sentito tangibili i confini di quel paesino dove non c'era mai stata la libertà di cui sentiva di avere bisogno.
Quella mattina indossava una maglietta rosa, e due giorni prima si era fatto stendere da Giulia sulle unghie una passata di smalto bianco.
Inutile dire che aveva attratto immediatamente gli sguardi giudicanti di ogni singola persona che sostava alla stazione.
Come se fosse un fenomeno da baraccone, aveva sentito nel giro di un minuto le risatine di un gruppo di ragazzi e i versi di disapprovazione di un uomo sulla sessantina.
Venendo da una grande città come Roma, non ci era più abituato.
Era stato un duro ritorno alla realtà.
Tutto ciò che lo circondava, a partire dall'edicola vicino al parcheggio per poi passare all'infinita distesa di prati che fiancheggiavano le strade, gli aveva fatto ricordare poi dei suoi doveri, come se fino a quel giorno avesse vissuto un idilliaco sogno che però ben poco aveva a che fare con la vita vera.
Nonostante questo, rivedere la sua famiglia era stato bello.
I suoi genitori, appena entrato dalla porta, gli erano corsi incontro per abbracciarlo e all'arrivo dei suoi fratelli aveva iniziato a raccontare, sotto loro insistente richiesta, tutto quello che in quei mesi era successo a Roma. Aveva descritto nei minimi dettagli le giornate passate in studio a lavorare, la convivenza con Deddy, e le volte in cui Falso aveva lasciato Milano per organizzargli in vari locali capitolini serate in cui suonare. Aveva però omesso l'incontro che forse era stato il più importante di tutti. Non se la sentiva di abbandonare alla mercé delle domande curiose dei suoi familiari, una cosa così fragile e nuova come quella che aveva con Giulia. Voleva conservarla con cura.
«Potevi venire a trovarci prima, però.» lo aveva rimproverato all'improvviso suo padre.
Pierluigi non faceva mai giri di parole, e questo era un tratto del suo carattere che facilmente aveva trasmesso a tutti i suoi figli.
No, non potevo, aveva pensato Giovanni senza dirlo.
Oltre al colloquio che lo aspettava la mattina seguente a Milano, era infatti tornato a casa per risolvere un'altra questione. Forse quella che più lo lasciava in ansia, tra le due.
«Avevo da fare.» aveva commentato in fretta il ragazzo, prima di cambiare totalmente argomento.
«Domani ho un incontro importante con la casa discografica di cui vi parlavo.»

Aveva poi passato il pranzo a farsi aggiornare su tutto quello che era successo mentre lui era via.
«Hai sentito Viola?» gli aveva chiesto sua madre mentre erano impegnati a lavare insieme i piatti.
«Sarà contenta di sapere che sei arrivato.»
Giovanni non aveva risposto, un'ombra a scurirgli il viso.
Lidia non sapeva nulla, né della situazione che aveva lasciato quando era partito né tantomeno di ciò che poi, una volta arrivato,aveva trovato senza cercare. L'aveva tenuta all'oscuro delle litigate, dei dubbi, delle grida. Si era affezionata, d'altronde. Se poteva evitare anche solo ad un'altra persona di stare male per una sua decisione, avrebbe continuato a mentire ancora per un po'.
Glielo dirò a cose fatte, si era giustificato con la sua coscienza.

Mentre era impegnato a rigirarsi nel letto nelle ore notturne del giorno dopo, non era riuscito a scrollarsi di dosso la sensazione che mancasse qualcosa. E non parlava delle ore di sonno che aveva solo parzialmente recuperato dormendo in treno.
Forse ad acuire il tutto c'era la sensazione di sentirsi cambiato. Quei mesi vissuti lontano lo avevano fatto crescere, ma sicuramente una piccola parte di lui era consapevole del fatto che l'incontro con Giulia aveva apportato in lui una modifica sostanziale per quello che riguardava il suo approccio alle cose. L'aveva scoperto proprio quella mattina, quando, nella sua adorata Milano, si era preso qualche minuto in più per osservare i raggi del sole riflettersi sui colori delle vetrine di Via Monte Napoleone o ancora quando, in preda all'ansia di fare una brutta impressione, una volta presentatosi alla Wonder si era sforzato di sorridere alla segretaria che gli indicava il piano in cui era atteso.
Mentre prima ogni sua azione rappresentava un lento e faticoso decollo ora planare dall'alto non gli era mai sembrato così facile.
Gli era venuto naturale quindi, una volta finito il colloquio, tirare fuori il telefono e chiamare Giulia.
«Pronto?»
Sangio si era subito rilassato al suono della sua voce.
«Giugiulola,» aveva usato il suo soprannome, con tono affettuoso.
«È andata bene. Mi hanno offerto un contratto per cinque anni. È una cosa assurda, non credo sia mai successo ad un esordiente come me.»
Aveva sentito la ragazza esultare contenta, e quella valanga di 'sono fiera di te' gli avevano riempito il cuore. Doveva sembrare un pazzo, mentre con il telefono all'orecchio percorreva le vie del centro senza riuscire a smettere di sorridere.
«Hai già firmato?»
«No, prima mi ha proposto di conoscere il resto del team e discutere i dettagli ad un Gala organizzato dalla casa discografica, alla fine di questo mese.»
«Quindi ora che pensavi di fare? Torni a qui?» gli aveva chiesto, speranzosa.
«Devo ancora risolvere delle cose ma sarò a Roma giovedì prossimo.», si era ritrovato a decidere sul momento.
«Allora ti aspetto, SanJuan.»

*
Giulia stava per vivere forse uno dei momenti più importanti di tutto il suo percorso in accademia. Di lì a pochi minuti infatti avrebbe scoperto se era riuscita a guadagnarsi l'assolo per cui aveva tanto lavorato quell'anno.
Ottenerlo non sarebbe stata solo una vittoria personale, pensava, ma anche una delle poche occasioni che aveva per essere notata da uno dei rappresentanti delle tante compagnie invitate ad assistere al saggio finale.
«Non riesco a guardare,» aveva sussurrato ai suoi amici mentre tutti insieme aspettavano che la direttrice raggiungesse il leggio posto al centro della sala. Questa aveva poi preso in mano la cartellina che fino a quel momento portava sottobraccio, iniziando ad illustrare alla folla riunita intorno a lei l'assegnazione delle parti.
«–Passiamo poi al gruppo avanzato.
Ci sono in palio due assoli, e come sapete quest anno a prepararlo con i fortunati alunni ci sarà una coreografa di fama nazionale, che più volte ha collaborato con noi nel corso degli anni. Siete stati osservati e seguiti a lungo ed è stata proprio Veronica Peparini a scegliere con chi lavorare per quest anno.»
Giulia non riusciva a stare ferma mentre dondolava sui talloni per scaricare la tensione. Sapeva che il suo stesso corso era pieno di ballerini talentuosi e una parte di lei temeva di non essere al loro livello. Per questo, e forse anche un po' per scaramanzia, non si era mai permessa di immaginarsi a ballare su quel palco, da sola. Quindi sentire le successive parole l'aveva lasciata davvero senza fiato.
«Barbetta, Stabile. Fate un passo avanti.» I piedi di Giulia avevano obbedito senza che lei avesse ancora realizzato nulla.
Al suo fianco Samuele, uno dei suoi più cari amici, aveva fatto lo stesso.
«Complimenti. Gli assoli sono vostri.»

Una lacrima sul viso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora