XXVIII

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Dopo tutto quello che era successo, a Giovanni  sembrava quasi strano rivedere una persona che non appartenesse alla sua nuova vita romana.
In seguito ad una veloce telefonata in cui Falso gli annunciava di essere arrivato nella Capitale, si erano dati appuntamento in un bar del centro, facilmente raggiungibile a piedi dalla stazione.
Ed ora a vederlo seduto davanti a lui dall'altro lato del tavolino di metallo,  Sangio non poteva non pensare a come Nueve gli ricordasse sì, l'incertezza e la sofferenza del passato, ma anche la parte più bella della sua adolescenza.
Non avrebbe mai dimenticato le nottate passate a bere e a parlare di musica fino a tardi seduti sulle vecchie panchine di qualche parco.
Sognavano in grande, a quei tempi, immaginandosi esattamente quel futuro che stavano finalmente vivendo.
Per questo teneva tanto alla sua opinione ed ammettere davanti a lui di sentirsi perso adesso, gli veniva maledettamente difficile.
Deluderlo avrebbe significato deludere la prima persona che avesse visto in lui qualcosa in più di un semplice ragazzino taciturno.
Così, era finito per rimandare e rimandare ancora il momento in cui avrebbe dovuto raccontargli tutto, parlando di qualsiasi cosa gli venisse in mente che non avesse a che fare con quello che era accaduto a Milano.
Nel panico era finito ad aggiornarlo sul successo che stava avendo Lady e del progetto discografico che aveva intenzione di intraprendere una volta tornato a casa, tutte cose che però Falso aveva già sentito milione di volte al telefono.
«Credi che io sia stupido?», lo aveva presto interrotto, con tono serio.
Giovanni era rimasto a bocca aperta a quella domanda.
«Cosa—No. Perché?»
Falso aveva mostrato tutta la sua disapprovazione affondando un sorriso amaro nel bicchiere di Martini che aveva in mano.
«Davvero, Sangio? Ti conosco da quando eri ancora in fasce e pensi sul serio di distrarmi con tutte queste stronzate, quando hai delle occhiaie che fanno paura e non mi fai leggere qualcosa di tuo da non so quanto tempo.»
Giovanni sapeva che sarebbe stato inutile inventare scuse, a quel punto.
Sentiva la maschera che aveva con così tanta fatica costruito iniziare a vacillare davanti allo sguardo e al fare pragmatico dell' amico di una vita.
«Allora? Vuoi dirmi cos'hai o no?»
Giovanni non aveva retto e spogliandosi del timore del suo giudizio, gli aveva detto della serata pessima che aveva passato con il team della Wonder.
Falso aveva condiviso la sua indignazione nell'apprendere quello che volevano fare con la sua scrittura. Non senza aggiungere un bel te l'avevo detto alla fine del suo discorso, ovviamente.
«E quindi cosa hai deciso di fare?»
«Non lo so Fa, è pur sempre un buon contratto e la Wonder ha un sacco di agganci anche fuori.
Non dovrei neanche pensarci un attimo e firmare.»
«Lascia stare quello che dovresti fare, tu cosa vuoi? Se non ti senti rappresentato dai loro valori, che senso ha lavorare con loro? È qualcosa che vale la pena valutare, secondo me. »
Tutto quello che stava dicendo era assolutamente vero.
Gli era stato chiaro fin dall'inizio che non condivideva i loro stessi ideali e che, per come era fatto, non avrebbe mai accettato che qualcuno censurasse i suoi testi.
Aveva bisogno di pensarci meglio, prima di prendere una decisione.
Era stato forse un po' più complicato però per Sangio confidarsi con l'amico sul motivo per cui da qualche settimana non riusciva più a scrivere.
Per la prima volta infatti, aveva trovato il coraggio di parlargli di Giulia, di come conoscerla avesse messo sottosopra qualsiasi convinzione pensasse di avere nella vita, ma che le cose tra loro avevano subito un forzato arresto nel momento in cui aveva lasciato che fosse la rabbia a parlare al posto suo.
Aveva cercato di non scendere nei dettagli ma Nueve non gliel'aveva permesso, spingendolo, con le sue puntuali domande, a scavare in quel pozzo senza fondo in cui celava da tempo sentimenti ingombranti, lasciati a macerare tra i residui del suo sterile orgoglio. 
Anche Falso era rimasto male nello scoprire come si fosse conclusa quella fatidica serata in hotel.
«Non ti facevo così codardo.», si era limitato a commentare, accendendosi una sigaretta.
«Se provi per lei tutto quello che mi hai detto, perché non cerchi di parlarle? O quantomeno di scusarti. Glielo devi.
Fai decidere a lei poi se perdonarti o meno, non puoi presumere di sapere già che non lo farà.»
Il suo discorso non faceva una piega ma nella testa di Giovanni nulla funzionava in modo così lineare e semplice.
«Perché se mi dovesse perdonare, avrei paura di rovinare tutto di nuovo.»
Era stato difficile per lui codificare tutto quello che sentiva, e che di razionale aveva ben poco, in una frase che avesse un senso.
Falso non aveva detto nulla per un po', forse ripensando alle sue parole mentre beveva l'ultimo sorso d'alcol rimasto.
Aveva poi incontrato il suo sguardo.
«Non avevamo detto di smetterla di vivere nella paura?»

*

Una notte turbolenta, così Giulia l'avrebbe ricordata negli anni avvenire.
Aveva dormito poco, rigirandosi nel letto in preda all'emozione per quello che l'avrebbe aspettata di lì a qualche ora.
Era infatti arrivato il giorno del saggio finale e ogni singola cellula del suo corpo non riusciva a trovare pace alla sola idea di poter finalmente salire su un palco e ballare davanti ad un pubblico.
Passare tutto quel tempo senza riuscire a chiudere occhio, le aveva però dato modo di riflettere liberamente su tutto quello che era accaduto nell'ultimo periodo e nel momento in cui aveva sentito la sveglia sul comodino suonare, si era alzata con la consapevolezza di essere finalmente arrivata ad una decisione.
Quello sarebbe stato l'ultimo giorno in cui avrebbe permesso ai suoi ricordi di distrarla.
Sarebbe salita sul palco e avrebbe fatto parlare il suo movimento, dimostrando alla se stessa del passato che con la danza aveva finalmente trovato la sua voce e che era cresciuta tanto da non aver più paura di mettersi a nudo davanti a chiunque fosse lì a vederla.
Ma soprattutto quella sera avrebbe chiuso un capitolo della sua storia rimasto in sospeso per troppo tempo.
Così, gettando nel minor tempo possibile trucchi e accessori che le sarebbero serviti per lo spettacolo, si era legata i capelli in fretta ed era uscita, dimenticandosi anche di chiudere a chiave la porta di casa.

Una volta arrivata in teatro e recuperati i suoi amici all'ingresso, erano insieme entrati nell'edificio.
Mentre gli altri si dirigevano a passo spedito verso i camerini, lei si era invece presa con calma del tempo per guardarsi intorno, facendo scivolare sotto le dita il velluto morbido delle sedie della platea.
Nascosto dalle pesanti tende rosse davanti a lei si ergeva solenne e silenzioso, lo stesso palco che di lì a poco si sarebbe riempito di musica e passi di danza, ma che ora, visto così vuoto, le faceva quasi impressione.
Richiamata dal luccichio dell'oro che decorava le infinite balconate, aveva alzato la testa e girando su se stessa per non farsi sfuggire nessun dettaglio, era rimasta a bocca aperta davanti alla maestosità del soffitto affrescato.
Al centro, un enorme lampadario di cristallo emanava la stessa luce calda che l'aveva accolta appena entrata.
Era il secondo che vedeva in tutta la sua vita.
La sua mente era subito corsa al ballo di qualche settimana fa, la musica dal vivo, i bicchieri di champagne e l'atmosfera romantica.
Giulia l'aveva preso come un segno.
Aveva dunque tirato fuori il telefono, digitando un veloce messaggio.
Lottando poi contro la tentazione di ripensarci e cancellare tutto, si era costretta a dimenticarlo in una tasca del borsone e a raggiungere i suoi compagni, il rumore dei suoi passi attutito dalla moquette scura che tappezzava la sala.

Una lacrima sul viso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora